Una geografia da favola
Giovannino gira il mondo,
lì c’è il lago tutto tondo,
la foresta che è incantata,
la montagna ora innevata.
Sorvolando per davvero
questo globo per intero,
a cavallo di una torta
che diventa una gran porta
per scoprir la giusta via
e imparar la geografia.
Se dall’alto noi osserviamo
tutto ciò che poi vediamo,
cambia presto prospettiva
e la fantasia ritorna viva.
Parliamo di geografia.
“Che noia!”, già vi sento. Adulti e bambini intenti a bofonchiare su quanto la geografia sia pallosa, mentre nelle vostre testoline si affacciano confusi ricordi di nomi di capoluoghi e barbabietole da zucchero da mandare a memoria.
Scoraggiamo subito questa cosa: quella non è geografia. O meglio, quella è solo una parte della geografia. La più noiosa, a dire il vero, quella che la scuola ha risparmiato dalla pulizia etnica del fantastico, dell’immaginazione, della curiosità.
Ma non siamo qui per parlare delle riforme distruttive della materia, per quello, c’è l’AIIG. Siamo qui, invece, per parlare di Rodari e del suo legame con la geografia.
Una studentessa e la sua tesi di laurea
La nostra storia inizia qui, da una studentessa alle prese con la tesi di laurea magistrale. Il suo intento era di sviluppare un saggio sul fantastico, ma non c’erano professori disponibili a sostenere quella tesi, così fu costretta a ripiegare su altro.
La scelta, fu la geografia. E vorrei dire che la selezione fu fatta per amore della materia, o perché aveva avuto un’idea geniale per la tesi, o per qualsiasi altro motivo più nobile. In realtà avvenne perché il professore era quello che rispondeva più celermente alle e-mail ed era noto, tra i corsisti, per essere presente durante la stesura. Inoltre, pochi nel settore della studentessa decidevano di fare una tesi in Editoria Geografica, quindi l’avrebbe sicuramente potuta accettare come tesista, nonostante i tempi brevi.
Una volta selezionato il docente, la nostra studentessa cominciò a pensare all’argomento. Non voleva lasciare da parte il suo amore per il fantastico e si ricordò del profondo legame tra il fantasy e le mappe. Sì, proprio quelle bellissime illustrazioni all’inizio dei mattoni che divorava.
La geografia è fondamentale per creare un mondo fantasy, si disse, perché non applicare questo alla scuola?
Portò l’idea al professore, che l’apprezzò, le suggerì di circuirla alla scuola primaria e la mise in contatto con la sua futura correlatrice, la dott.ssa Pasquinelli d’Allegra, che aveva già lavorato a quel tema.
Così nacque la tesi di laurea della nostra studentessa: un laboratorio per insegnare la geografia nella scuola primaria attraverso la favola. Lei si laureò e la geografia, il professore e il modo di insegnarla le rimasero nel cuore. Fine della storia.
Cosa c’entra questo con Gianni Rodari?
Be’, la dott.ssa Pasquinelli d’Allegra, nel suo libro Una geografia da favola. Miti e fiabe per l’apprendimento (Roma, Carocci, 2016) portava ad esempio proprio le storie di Rodari come punto di partenza per insegnare la geografia. Ma dobbiamo fare un’altra piccola digressione, prima di arrivare al caro Gianni.
L’immaginazione nello sviluppo del bambino
We read fantasy to find the colors again, I think. To taste strong spieces and hear the songs the sirens sang. There is something old and true in fantasy that speaks to something deep within us, to the child who dreamt that one day he would hunt the forests of the night, and feast beneath the hollow hills, and find a love to last forever somewhere south of Oz and north of Shangri-La.
On Fantasy, George R. R. Martin, in The faces of Fantasy: Photograph, P. Perret, 1996
Il breve pezzo On Fantasy di George R. R. Martin, sebbene rivolto a un pubblico di lettori adulti, risponde alla domanda: “Perché il fantastico affascina a tutte le età?”, evidenziando come tale genere parli al bambino che si è o che si è stati. Il fantastico è un mezzo evocativo della realtà, ma senza il grigiore della realtà stessa.
Fantasy is silver and scarlet, indigo and azure, obsidian veined with gold and lapis lazuli. Reality is plywood and plastic, done up in mud brown and olive drab. Fantasy tastes of habaneros and honey, cinnamon and cloves, rare red meat and wines as sweet as summer. Reality is beans and tofu, and ashes at the end. Reality is the strip malls of Burbank, the smokestacks of Cleveland, a parking garage in Newark. Fantasy is the towers of Minas Tirith, the ancient stones of Gormenghast, the halls of Camelot. Fantasy flies on the wings of Icarus, reality on Southwest Airlines. Why do our dreams become so much smaller when they finally come true?
On Fantasy, George R. R. Martin, in The faces of Fantasy: Photograph, P. Perret, 1996
Il brano parla del fantastico e dell’immaginazione come filtro della realtà; un filtro che, da adulti, diventa occasione di evasione, ma anche di comprensione del mondo che ci circonda. Questo passaggio da mondo fantastico a mondo reale è particolarmente evidente nell’infanzia, quando il confine tra immaginazione e realtà è più permeabile rispetto all’individuo adulto, poiché le strutture mentali del bambino sono ancora in fase di formazione. Il bambino acquisisce, infatti, la percezione dello spazio tramite il proprio corpo attraverso diverse fasi dell’infanzia (J. Piaget – B. Inhelder, La rappresentazione dello spazio nel bambino, Firenze, Giunti-Barbera, 1976). Quando il bambino arriva, all’inizio della scuola primaria, già padrone di una sua geografia personale, è compito dell’insegnante creare un curricolo, ovvero un «complesso di percorsi di formazione e apprendimento mirato al raggiungimento di traguardi formativi e competenze adeguate» (D. Pasquinelli d’Allegra, Una geografia da favola. Miti e fiabe per l’apprendimento, Roma, Carocci, 2016, p. 16). Per favorire una continuità d’apprendimento tra i differenti ordini scolastici, le istituzioni costruiscono un curricolo verticale per ogni disciplina.
Senza addentrarci nei dati più tecnici, definiamo solo che l’insegnante ha il compito di guidare il bambino da una rappresentazione personale a una reale dello spazio, creando un coinvolgimento emotivo-affettivo con lo spazio. Un processo che può essere facilitato attraverso l’utilizzo dell’immaginazione del bambino.
E quale miglior mezzo, per raggiungere quest’obiettivo, della letteratura fantastica per l’infanzia?
Essa aiuta il bambino nello sviluppo e nella rappresentazione del concetto di spazio, in quanto consiste in «uno dei linguaggi più potenti, in grado di influenzare la prima strutturazione della conoscenza del mondo nel bambino» (C. Giorda, La geografia nella scuola primaria, Roma, Carocci, 2012, pp. 56-61) che, sebbene non distingua chiaramente tra aspetti fantastici e aspetti reali, va a costituire un’idea di spazio mitico, dove i rapporti spaziali sono dettati dall’affettività. La relazione immaginaria con questi spazi, lontani dallo spazio geometrico-astratto dei modelli spaziali scientifici, permette al bambino di cominciare a strutturare la distinzione fra il Sé e il mondo esterno, creando la tensione emotiva necessaria al fanciullo per cominciare a relazionarsi con lo spazio.
La forza evocativa delle rappresentazioni narrative, proprio perché esprime un procedimento inverso rispetto a quello dell’astrazione scientifica, arricchisce l’immaginario collettivo e sperimenta, con la simulazione letteraria, nuove possibilità e nuovi significati per le relazioni tra gli uomini e gli spazi del pianeta.
La potenza evocativa della narrazione, quindi, evidenzia quei significati e valori dello spazio terrestre che vanno oltre quelli descritti dalla geografia scientifica; l’immaginazione acquista, all’interno del processo di sviluppo cognitivo del bambino, il ruolo di mezzo tramite cui il bambino sperimenta le prime capacità d’astrazione, s’interroga sul mondo circostante ed elabora nuove idee e conoscenze; un modo, quindi, per sperimentare le proprie competenze senza limiti tecnici.
In questo percorso d’apprendimento tramite la narrazione, l’immaginazione gioca anche il ruolo di valorizzazione della creatività: tramite la simulazione narrativa il bambino sperimenta nuovi modi di pensare, di abitare, di utilizzare gli spazi e, soprattutto, viene posto in evidenza l’aspetto euristico geografico, ovvero la capacità di pensare il territorio al futuro e giungere a nuove rappresentazioni e progettualità legate all’organizzazione degli spazi.
Tra mondo fantastico e mondo reale: la favola come filtro
Lo spazio delle fiabe è uno spazio non localizzabile nella realtà, limitato allo sviluppo degli avvenimenti fiabeschi; tuttavia in molti casi presenta elementi (come, ad esempio, il bosco) che costituiscono archetipi della realtà, filtrati dall’immaginazione e carichi di coinvolgimenti emotivi.
Sin dall’antichità, il racconto fantastico ha avuto il potere di suggestionare gli ascoltatori e di impartire insegnamenti; il termine stesso di “favola” (dal latino fabula, derivazione del verbo fari, “parlare”) viene utilizzato, nella sua accezione polisemica di mito, fiaba e favola, per trasmettere l’idea di un racconto orale, in grado di mettere in comunicazione emotivo-affettiva il narratore e l’ascoltatore. Numerosi sono stati i contributi di psicopedagogisti, psicologi e sociologi nell’evidenziare il valore simbolico e formativo di tale forma di comunicazione orale che, solo molto più avanti dalla sua origine, sarà tramandata in forma scritta.
La favola – sempre nella sua accezione polisemica – si pone come un filtro tra mondo fantastico e mondo reale, con intenti educativi e formativi per la persona. In virtù delle sue caratteristiche pedagogiche e alla capacità della narrazione di suscitare l’attenzione e stimolare la fantasia del bambino, la letteratura per l’infanzia diviene uno strumento didattico per ricavare informazioni su una “primitiva” visione del mondo e dei fenomeni naturali; il bambino, tramite il racconto fantastico, è facilitato a transitare dalla fantasia alla realtà e trasportare le esperienze vissute, entrando in coinvolgimento emotivo col protagonista, dallo spazio immaginario allo spazio geografico.
La fiaba può, in conseguenza, svolgere numerose funzioni didattiche e pedagogiche, che possono essere utilizzate in numerosi processi d’apprendimento. Vladimir Propp, nel suo Morfologia della fiaba (Torino, Einaudi, 1966), ne individua ben trentuno all’interno delle fiabe di magia, come l’allontanamento, la punizione dell’antagonista e il lieto fine. La più interessante nell’ambito geografico è la quindicesima funzione, ovvero il trasferimento dell’eroe nello spazio. Difatti, nelle fiabe il protagonista viene portato – dalla funzione di allontanamento, che spinge l’eroe ad allontanarsi dal luogo d’origine – a spostarsi nel luogo dove si trova l’oggetto delle sue ricerche. Tale spostamento può effettuarsi in volo (cosa che può aiutare a introdurre la rappresentazione zenitale), via terra o via mare, utilizzando differenti mezzi che spaziano da animali fantastici, a strumenti magici, a sistemi di trasporto più comuni. Tutti questi aspetti possono fornire spunti per introdurre temi di orientamento, geografici, elementi naturali ed elementi artificiali del paesaggio, ma anche per far entrare il bambino in relazione con l’ambiente che lo circonda e con le persone che lo popolano, accendendo la curiosità verso l’esplorazione, la scoperta e l’ampliamento dello spazio conosciuto.
Favola come mediazione tra fantasia e realtà
A questo modo, la fiaba viene utilizzata come oggetto mediatore tra fantasia e realtà, tra spazio reale e spazio immaginario, ma anche come propedeutica al racconto “geo-cartografico”, grazie ai percorsi precisi che contribuiscono allo sviluppo della narratività. La presenza di archetipi (di cui i principali sono il bosco, il mondo mostruoso e la cittadina) risulta un prezioso contributo alla formazione delle mappe mentali dei luoghi immaginari e alle capacità di strutturazione mentale dell’orientamento spaziale. Si può notare, in conseguenza, una duplice funzione della narrativa dal punto di vista geografico:
- fornisce ai bambini una prima conoscenza dei luoghi, sia per gli oggetti che li costituiscono, sia per le relazioni fra questi oggetti;
- arricchisce le esperienze concrete di conoscenza del mondo, contribuendo in tal modo all’acquisizione dei concetti spaziali e del linguaggio con cui esprimerli.
Tale percorso, che dev’essere guidato dall’insegnante in modo da arginare le distorsioni subite dall’immagine dei luoghi nell’immaginario fantastico e insegnare al bambino a distinguere tra trasfigurazione letteraria e aspetti problematici del reale, mostra come lo spazio immaginario del racconto fiabesco diventi un appiglio all’introduzione dello spazio reale.
Il senso dello spazio nella favola: mappe, metodi d’orientamento e temi ambientali nelle fiabe classiche
La favola offre ampie potenzialità didattiche, soprattutto in ambito geografico, fornendo spunti per un approccio alla topografia, all’orientamento e ai temi ambientali. Grazie alla sua grande capacità di coinvolgimento del bambino, introduce a una geografia immaginaria che può essere poi riportata in chiave reale. Questo processo parte dalla presenza, nella letteratura per l’infanzia, degli archetipi geografici (bosco, mondo mostruoso e cittadina), ma anche dal ruolo della favola come elemento formativo dell’individualità del bambino e della sua capacità di relazionarsi con l’altro. A questo proposito, Bruno Bettelheim ricorda che:
Le fiabe, a differenza di qualsiasi altra forma di letteratura, indirizzano il bambino verso la scoperta della sua identità e della sua vocazione, e suggeriscono inoltre quali esperienze sono necessarie per sviluppare ulteriormente il suo carattere.
Il mondo incantato. Uso, importanza e significati psicoanalitici delle fiabe, Milano, Feltrinelli, 2005 (ed. or. 1977), p. 27
La fiaba infatti racchiude non solo una storia in grado di affascinare il bambino, ma anche indicatori sul modo di vivere, di pensare e di guardare il mondo della cultura in cui il racconto ha origine, fornendo così informazioni sul paesaggio, sullo stile di vita e sulle usanze di popolazioni lontane nel tempo e/o nello spazio.
I racconti popolari contengono sempre descrizioni ambientali, paesaggistiche, indicazioni specifiche sulla fauna e sulla copertura vegetale caratterizzanti il luogo in cui si svolge la storia: la presenza di questi elementi nelle narrazioni risulta importante ai fini della contestualizzazione e della comprensione degli stessi. Il quadro geografico in cui le fiabe sono inserite, dunque, non funge solo da sfondo alle azioni che compiono i personaggi, ma diviene espressione del “marchio territoriale” e culturale di una particolare regione, delle sue condizioni ambientali, storiche, delle tradizioni e dell’immaginario del popolo e, perciò, fornisce informazioni sulla qualità e sulla quantità delle relazioni che gli uomini intrattengono con il territorio in cui vivono[23].
C. Brunelli, Geografia e fiaba. Tre “i” per fare… intercultura, Atti del V incontro nazionale dei centri interculturali, Fano, 10-11 ottobre 2002, p. 93
Accanto agli archetipi narrativi, appaiono quindi degli “ecotipi”, ovvero «indicazioni specifiche caratterizzanti la realtà territoriale e culturale del popolo che li ha prodotti» (C. Brunelli, Geografia e fiaba) (coperture vegetali, modalità insediative, ecc.). Queste indicazioni sono facilmente individuabili all’interno delle narrazioni; ne è un esempio la favola norvegese La coda dell’orso, nell’evidenziare i rigidi inverni della taiga, tali che, col calare della sera e con il diminuire delle temperature, il ghiaccio arriva a intrappolare la coda dell’orso – un tempo lunga – e a mozzargliela.
Gli esempi di ecotipi possono essere anche culturali, ma è importante sottolineare come essi possano risultare vaghi e generici nella loro espressione. Tuttavia, all’indeterminatezza della fiaba supplisce la capacità di visualizzazione e conoscenza ambientale proprie della geografia, che permette di approfondire ed esplorare i differenti spunti contenuti all’interno dei racconti per l’infanzia.
Uno degli approcci per sviluppare tali spunti è la psicomotricità, punto d’incontro tra il ruolo formativo della narrativa fiabesca e l’apprendimento del bambino tramite l’azione che «prende il posto della comprensione» (B. Bettelheim, Il mondo incantato. Uso, importanza e significati psicoanalitici delle fiabe, Milano, Feltrinelli, 2005, p. 34), in quanto il suo corpo entra in relazione con l’esterno (L Trisciuzzi, T. Zappaterra, La psicomotricità tra biologia e didattica, Pisa, ETS, 2004). Grazie a queste caratteristiche, è possibile sviluppare un percorso didattico che parte dalla narrativa fantastica e, attraverso l’attività psicomotoria, porti all’approccio alla geograficità.
E qui, arriviamo a Rodari. Finalmente.
La giostra di Cesenatico: una lezione di geografia inconsapevole
Per riallacciarci al punto, le favole offrono grandi spunti per acquisire il senso dello spazio. Personalmente, non so se Rodari fosse consapevole dell’aver creato, attraverso le sue storie, veri e propri laboratori geografici, ma di sicuro sono un ottimo punto di partenza per l’apprendimento, sia in maniera casalinga, sia scolastica.
Anche altre storie si prestano bene: La sirenetta, di Andersen, è un ottimo mezzo per presentare l’ecotipo del mare e la cultura nordica, i fratelli Grimm danno meravigliosi esempi per le foreste di latifoglie e conifere, ma Rodari fa di più: mostra il mondo da un’altra prospettiva, dall’alto, e lo fa proprio ne La giostra di Cesenatico.
La giostra di Cesenatico
Una volta a Cesenatico, in riva al mare, capitò una giostra. Aveva in tutto sei cavalli di legno e sei jeep rosse, un po’ stinte, per i bambini di gusti più moderni. L’ometto che la spingeva a forza di braccia era piccolo, magro, scuro, e aveva la faccia di uno che mangia un giorno sì e due no. Insomma, non era certo una gran giostra, ma ai bambini doveva parere fatta di cioccolato, perché le stavano sempre intorno in ammirazione e facevano capricci per salirvi.
«Cos’avrà questa giostra, il miele?», si dicevano le mamme. E proponevano ai bambini: – Andiamo a vedere i delfini nel canale, andiamo a sederci in quel caffè coi divanetti a dondolo.
Niente: i bambini volevano la giostra.
Una sera un vecchio signore, dopo aver messo il nipote in una jeep, salì lui pure sulla giostra e montò in sella a un cavalluccio di legno. Ci stava scomodo, perché aveva le gambe lunghe e i piedi gli toccavano terra, rideva. Ma appena l’ometto cominciò a far girare la giostra, che meraviglia: il vecchio signore si trovò in un attimo all’altezza del grattacielo di Cesenatico, e il suo cavalluccio galoppava nell’aria, puntando dritto il muso verso le nuvole. Guardò giù e vide tutta la Romagna, e poi tutta l’Italia, e poi la terra intera che si allontanava sotto gli zoccoli del cavalluccio e ben presto fu anche lei una piccola giostra azzurra che girava, girava, mostrando uno dopo l’altro i continenti e gli oceani, disegnati come su una carta geografica.
«Dove andremo?», si domandò il vecchio signore. In quel momento gli passò davanti il nipotino, al volante della vecchia jeep rossa un po’ stinta, trasformata in un veicolo spaziale. E dietro a lui, in fila, tutti gli altri bambini, tranquilli e sicuri sulla loro orbita come tanti satelliti artificiali.
L’omino della giostra chissà dov’era, ormai; però si sentiva ancora il disco che suonava un brutto cha-cha-cha: ogni giro di giostra durava un disco intero.
«Allora il trucco c’era, – si disse il vecchio signore. – Quell’ometto dev’essere uno stregone».
E pensò anche: «Se nel tempo di un disco faremo un giro intero della terra, batteremo il record di Gagarin».
Ora la carovana spaziale sorvolava l’Oceano Pacifico con tutte le sue isolette, l’Australia coi canguri che spiccavano salti, il Polo Sud, dove milioni di pinguini stavano col naso per aria. Ma non ci fu il tempo di contarli: al loro posto già gli indiani d’America facevano segnali col fumo, ed ecco i grattacieli di Nuova York, ed ecco un solo grattacielo, ed era quello di Cesenatico. Il disco era finito. Il vecchio signore si guardò intorno, stupito: era di nuovo sulla vecchia, pacifica giostra in riva all’Adriatico, l’ometto scuro e magro la stava frenando dolcemente, senza scosse.
Il vecchio signore scese traballando.
– Senta, lei, – disse all’ometto. Ma quello non aveva tempo di dargli retta, altri bambini avevano occupato i cavalli e le jeep, la giostra ripartiva per un altro giro del mondo.
– Dica, – ripeté il vecchio signore, un po’ stizzito.
L’ometto non lo guardò nemmeno. Spingeva la giostra, si vedevano passare in tondo le facce allegre dei bambini che cercavano quelle dei loro genitori, ferme in cerchio, tutte con un sorriso d’incoraggiamento sulle labbra.
Uno stregone quell’ometto da due soldi? Una giostra magica quella buffa macchina traballante al suono di un brutto cha-cha-cha?
– Via, – concluse il vecchio, – è meglio che non ne parli a nessuno. Forse riderebbero alle mie spalle e mi direbbero: Non sa che alla sua età è pericoloso andare in giostra, perché vengono le vertigini?
G. Rodari, Favole al telefono, Torino, Einaudi, 1971 (ed. or. 1962)
Una lezione di geografia
La favola racconta il viaggio intorno al mondo effettuato su una giostra. Dal punto di vista geografico, essa fornisce spunti per introdurre:
- La visione dall’alto;
- Le carte geografiche;
- I mezzi di trasporto;
- I punti cardinali e l’orientamento;
- I biomi;
Elaborando un intervento in una classe della scuola primaria, è possibile sviluppare i precedenti punti basandosi su quattro piani percettivi:
- Drammatizzare. Dopo aver letto la favola in classe, invitiamo gli alunni a riprodurre la situazione spaziale della storia, facendoli mettere in cerchio e, dopo aver girato, spostarsi in fila indiana in un percorso all’interno della classe. Ad ogni step, avremmo posizionato le carte geografiche ingrandite delle zone percorse all’interno della favola (partendo da Cesenatico col mar Adriatico, la Romagna, l’Italia, il planisfero, l’Oceano Pacifico, l’Australia, il Polo Sud, l’America, New York, fino a ritornare al punto di partenza e rimettersi in circolo), arricchite con punti di riferimento (immagini di pinguini, canguri, grattacieli, ecc., per favorire l’orientamento all’interno del percorso). È possibile stimolare ulteriormente il percorso ponendo dei rilievi sulle mappe (sedie, banchi, sgabelli) in cui salire con l’aiuto dell’insegnante e osservare così i luoghi dall’alto. Con l’ausilio di un planisfero, filo colorato e puntine, è possibile invitare gli alunni a tracciare il percorso individuando i luoghi sulla mappa e introdurre l’orientamento secondo i punti cardinali. Quest’operazione può essere effettuata anche utilizzando un globo geografico e un pennarello, chiedendo ai bambini di disegnare il percorso direttamente sul globo.
- Disegnare. Si chiede ai bambini di rappresentare con un disegno la situazione spaziale; la giostra, il volo e la visione della terra. In questa fase è possibile invitare i bambini a rappresentare le differenti posizioni (es. il vecchio signore sopra il cavalluccio, i genitori intorno alla giostra, il bambino nella jeep…) e i luoghi descritti all’interno della favola. In questa fase, è possibile stimolare la fantasia e la rappresentazione dei bambini con foto e video dei luoghi che percorre la giostra.
- Confrontarsi. Si apre una discussione sulle parole della favola riferite alla geografia: carta geografica, continenti, terra, ecc. I bambini possono essere invitati alla discussione tramite domande-stimolo mirate a far emergere eventuali esperienze dei bambini relative a luoghi simili (es. “Cos’è l’Oceano Pacifico?”, che può ampliare la discussione sulle differenze tra Oceano e Mare secondo i bambini, o “Perché al Polo Sud ci sono i pinguini e in Australia i Canguri?”, invitando gli alunni a una rappresentazione o indagine sui differenti biomi presenti sul pianeta).
- Progettare. I bambini vengono stimolati a realizzare una rappresentazione complessa della favola. Che sia tramite un adattamento teatrale a opera della classe, con realizzazione delle scenografie (e in conseguenza dei diversi panorami geografici), o con la creazione di un plastico, o un adattamento a fumetti realizzato dai bambini, l’obiettivo di questa fase è creare un progetto tangibile che stimoli la creatività degli alunni e li spinga a mettere in gioco le competenze acquisite. Un esempio di progetto conclusivo molto semplice che è possibile riportare, è l’allestimento di più cartelloni che rappresentino ognuno i diversi scenari geografici della favola di Rodari, sia visti dall’alto, che in prospettiva, su cui è possibile aggiungere le jeep, i cavallucci e ripercorrere così il viaggio attorno al mondo della giostra. Oppure, il progetto può integrare nuovi elementi e si possono invitare i bambini a creare la “giostra della classe”, partendo dalla domanda-stimolo: “Dove vorreste andare con la giostra?”. A questo modo si raccolgono idee e proposte e l’insegnante guiderà gli alunni nella documentazione e nella rappresentazione dei luoghi che vorrebbero visitare (es. il bambino dice: “Io voglio andare dove ci sono i panda”; da quest’affermazione si cerca di comprendere qual è l’habitat ideale dei panda, si vede dove vivono, le loro abitudini, e si può aprire una parentesi scolastica sul perché tali animali sono in via d’estinzione, introducendo così le tematiche ambientali). Dopo la raccolta dei dati, si realizza la “giostra della classe”, rappresentando i diversi scenari su cartelloni e ipotizzando un percorso che parte dalla città di origine e effettua il giro del globo. Nelle classi della primaria più avanzate, è possibile integrare i cartelloni con informazioni aggiuntive sui luoghi “visitati”, nomenclatura dei luoghi, ecc.
Questo, non è effettuabile solo con La giostra di Cesenatico, ma con tante altre fiabe di Rodari, opportunamente adattate alla classe e al tema.
Alice cascherina è un modo per osservare il mondo dal basso; La strada che non andava da nessuna parte, un incentivo all’esplorazione e alla creazione di mappe; Il paese senza punta, ridimensiona lo spazio degli oggetti e li modifica… e si potrebbero elencare ancora tante, tantissime storie di Rodari in grado di fornire spunti per l’insegnamento geografico, che, ammettiamolo, il più delle volte si limita al mero nozionismo.
Insomma, più favole, meno barbabietole. Rodari avrebbe gradito.
Bellissimo l’articolo!!