Avevo cinque, forse sei anni, forse anche meno, la prima volta che incontrai Asterix il gallico. In realtà, non ricordo bene come ci conoscemmo, perché da che ho memoria il personaggio creato dalla fantasia di Albert Uderzo e René Goscinny è sempre stato pronto a tenermi compagnia.
Ma ripartiamo: ero piccola e un giorno Asterix il gallico col suo amico Obelix e il resto del villaggio in Armonica (che resiste ora e sempre all’invasore romano) bussarono alla mia porta. Li feci entrare. Scelta azzardata? Forse, ma erano venuti per restare e infatti sono ancora lì, a gozzovigliare con cinghiali arrosto e a menar le mani, e anche se sono metà romana da parte di padre, non potevo di certo lasciarli fuori.

L’umorismo di René Goscinny e Uderzo vi farà amare questo piccolo guerriero baffuto – François Clauteaux, direttore del Pilote
Ricordo un Natale, in cui con i miei cugini ci guardavamo Le dodici fatiche di Asterix. Io in piedi, con cipiglio giuliano, a doppiare tutte le battute. La nascita del mio odio per la burocrazia nasce lì, col lasciapassare A38, che assieme al mio piccolo amico gallico ho preso tante, tantissime volte.

Rammento anche il viaggio in Egitto, alla corte di Cleopatra (che, signori miei, aveva un nasino, ma un nasino…). Allora se un architetto non rispettava i tempi delle costruzioni, finiva in pasto ai coccodrilli. «Forse è per questo che ci sono così tanti cantieri,» mi dicevo in preda a un senso di giustizia infantile «non ci sono abbastanza coccodrilli in Italia».
Non ci sono abbastanza coccodrilli neanche in Austria
Asterix e Cleopatra fu il primo fumetto di Uderzo e Goscinny per cui feci carte false, gli altri me li avevano regalati, o li avevo rubati a uno zio collezionista (spacciatore involontario anche di Mafalda, Mordillo, Lanciostory e Skorpio. Zio, se oggi sono una comics-addicted lo devo a te e non so se c’è da andarne fieri). Ricordo bene l’occasione: un viaggio in Austria, l’ultimo con papà; visita al villaggio di Heidi, di cui sopravvivono alcune foto imbarazzanti con Fiocco di Neve e il vecchio dell’Alpe. Faceva freddo, pioveva, avevo un ginocchio sbucciato, sbucciatissimo e alla baita c’era in vendita lui: Asterix e Cleopatra.
«Ma tanto il tedesco non lo capisci». «Tanto lo so a memoria». E così fu. Il mio primo approccio al tedesco, o meglio all’austriaco. Di cui non conosco ancor oggi una parola, ma quel fumetto… oh, quel fumetto lo so tradurre tutto. A braccio.

Poi c’erano i menhir, che vi giuro ci ho messo anni a capire a cosa servissero e forse non lo so tutt’ora. Però mi facevano ridere e piangevo come Idefix quando sradicavano gli alberi (piango tutt’ora). E volevo vivere sull’isola dove tutti tornavano bambini come Asterix e la galera di Obelix, e partecipare al raduno dei druidi con Panoramix, perché io sarei diventata un druido, da grande. Oltre che un possente guerriero gallico, badate bene. E un po’ druida lo sono anche, ma non sono né gallica, né possente (al massimo pingue, perché si sa: non badare a me, mangerò per tre, finché l’appetito c’è).
Asterix e Obelix: un sogno che non finisce
Sulla galera della fantasia di Goscinny, sospinta dai venti dei disegni di Uderzo, ho viaggiato in Iberia, in Britannia, in Belgio (che gioia quando, ormai decenne, visitai la riproduzione del villaggio dei miei galli preferiti), in Grecia, in Corsica… Ho affrontato le dodici fatiche e vissuto un’odissea alla ricerca dell’olio di pietra. Mi sono nutrita di citazioni pop e in-pop disseminate tra i volumi, ché man mano che crescevo tutto acquisiva un nuovo senso, un livello in più. Ho giocato ai galli con mio padre, condannato per la sua romanità a interpretare, volente o nolente, l’invasore romano. La Gallia era la mia cameretta, la pozione magica del succo di frutta, ma i lividi che gli facevo sulle mani con i miei pugnali di plastica dura… quelli erano veri.
Non riesco a non girare per l’Urbe traducendo in maniera scomposta quell’S.P.Q.R. Altro che Senatus Popolusque Romanus! Per me sarà sempre Sono Pazzi Questi Romani, geniale traduzione italiana di Ils sont fous ces Romains. E oggi, che sono più romana che etrusca, perché ho eletto Roma come casa, non posso che confermare la veridicità di quel motto obelixiano. Perché sì, caro Uderzo: noi romani siamo un po’ pazzi. Tanto pazzi quanto te, irriducibile gallico che ha accompagnato le giornate di tanti bambini – ma anche di tanti adulti – come me.
Quindi, per oggi, come Cesare nel ringraziare i tuoi Galli alla fine di molte avventure e riconoscere il loro coraggio e valore, anche noi ci togliamo la corona del trionfo dal capo. Con l’augurio che dovunque tu sia adesso, ci siano ambrosia e grassi cinghiali (ma non lessi nella salsa alla menta, povere bestie!).
Giulia Manzi
Commenti recenti