La Strega del Nord fa la sua apparizione. La visione grottesca della strega si riallaccia al mito della fattucchiera: vecchia, orribile, con una verruca “grossa come una mela” sul naso. L’aspetto è espressione della sua malvagità, ma Manzi non si limita a presentarcela come brutta e vecchia.
Con un’alternanza narrativa tra favola e horror, l’autore riesce a far trasparire elementi inquietanti per mostrare la crudeltà della Strega del Nord, senza preoccuparsi di edulcorare i particolari crudi. Abbiamo così tre crani spolpati, fino all’osso, una descrizione minuziosa delle torture a cui viene sottoposto chi si oppone alla Strega del Nord, gatti e civette divoratori di cervelli e stomaci.
Manzi mostra il Male, ma afferma anche che il male non può ferirci davvero. Non finché si resta uniti. Non finché si continua ad accogliere l’amore dentro di sé. Non finché non scegliamo – consapevolmente – di uccidere l’Amore e tutto ciò che di buono c’è in questa terra.
C’è la paura, vero. La paura del dolore e di soffrire. L’amore non ferma ciò che il male può farci, ma si prende cura del dopo, ci restituisce la vista, l’udito, la libertà. Di vedere, di ascoltare, di essere uomini.
Gli altri episodi qui: Testa rossa
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