C’è una cura, nel romanzo pubblicato da Ensemble, quasi maniacale, una perfetta coincidenza tra titolo, immagine di copertina e contenuto che porta il lettore a innamorarsene prima di aprirlo. A questo modo, ultima copia esposta a Più Libri, Più Liberi 2019, Starry Night di Federico Leoni è venuto a casa con me ed è entrato a far parte della mia libreria.

Ed eccoci, nel tentativo di parlare di quello che non è altro che uno spaccato di vita di un adolescente assente. Filippo, diciottenne di Roma, vive la propria identità come molti suoi coetanei: nell’assenza del sé e con un punto interrogativo al posto della faccia. Non sa chi è, né chi sarà, né dove la sua esistenza lo stia portando.

Poche, le sue certezze: un nonno che pare aver vissuto più vite di quante Filippo ne potrà mai scoprire, un amico, Sergio, capace di sedurre con le parole ma senza la furbizia per sfruttare il tutto a suo vantaggio, una fidanzata, Greta, che gli farà riscoprire il valore della presenza e dei colori all’interno della vita.

Perdersi e ritrovarsi

Eppure, in questa sarabanda di incertezze e punti fermi, Filippo si perde, si ritrova, si perde di nuovo tra pugili di strada, spacciatori, bari, film di Fellini e poesie di Neruda, al suono della musica anacronistica dei Led Zeppelin. In Starry Night, le stelle che illuminano la notte del protagonista sono i suoi due sogni: una vita pericolosa, con cui rifugge dalla noia, e il suo animo di poeta che aspira all’infinito. Come nel cielo stellato, tuttavia, la luce visibile degli astri appartiene a stelle morte, irraggiungibili nel tempo e nello spazio.

Così Filippo corre. Corre, disperdendosi nei ghirigori di Van Gogh e nella loro assenza. Corre, senza un punto d’arrivo, ché la noia se l’è mangiato. Corre, senza un punto di partenza dove fare ritorno, ché il passato è come tante stelle spente e incastonate in un cinema d’essai.

Starry Night e l’elogio dell’assenza

C’è, in Starry Night, un elogio dell’assenza, un raccontarsi attraverso la privazione. L’assenza della nonna defunta riempie le stanze della casa; quella dei genitori di Greta colma i buchi di un passato doloroso. Infine, quella di Filippo: presente e assente a se stesso, tanto da giocare con la vita e la morte, col tutto e il nulla.

In questo gioco di vuoti e pieni, bianchi e neri, musiche e silenzi, il lettore si ritrova a viaggiare per le strade di Roma. Ponte Milvio, le stazioni, il quartiere di Trastevere… l’Urbe prende vita e si riversa nelle pagine, con le sue luci e le sue ombre.

Un esordio forte, quello di Federico Leoni, che affronta la disperazione e il turbamento di un’età complessa.