Ha un incipit travolgente l’esordio di Jane Campbell, Spazzolare il gatto (Blu Atlantide): La voglia di un vecchio è disgustosa, ma la voglia di una vecchia è peggio.

Con questa frase, l’autrice ottantenne pone la premessa a cui fanno capo i suoi tredici racconti: il desiderio sessuale nella terza età. E l’invito si espande a riflettere non solo sulle “voglie delle vecchie”, ma anche sul desiderio femminile e sulla percezione esterna di esso.

Tredici racconti, tredici voglie diverse

Dalla protagonista del primo racconto si apre una controversia profonda: la donna è vista come asessuata, difficile attribuirle delle voglie, dei desideri che non siano quelli chetamente domestici. Eppure, Susan si innamora all’interno della casa di riposo. Si innamora e s’infatua di Missy, la sua infermiera, in un pacato e rovente amore che la consuma e la rasserena.

Eppure, Linda prova a ritrovare l’amante perduto, la passione scomparsa e messa a tacere in una lunga vita borghese. Eppure, Martha ricerca il piacere intellettuale e fisico da una macchina. Eppure, queste donne – anziane, decadenti, sfatte – ancora fremono, seducono, sognano piaceri che dovevano essere sepolti, o addirittura mai nati.

Il desiderio si impadronisce, quindi, anche dei corpi sull’orlo della morte. Anzi, proprio l’essere sul ciglio della fine lo rende più intenso. Un ultimo, disperato, spasmo di vita che si manifesta nell’annullamento intenso dell’orgasmo.

In questo insolito rapporto tra Eros e Thanatos, il corpo in disfacimento riacquista il proprio spazio proprio nell’attimo della scomparsa. Una riappropriazione del sé attraverso la carne e il suo potenziale. Da desideranti a desiderate, le donne di Spazzolare il gatto hanno in comune col felino l’ozioso stiracchiamento e la voluttà dei piccoli piaceri, la grazia sinuosa della consapevolezza di sé.

Spazzolare il gatto, la vergogna dimenticata

Uno dei vantaggi della vecchiaia è, come afferma una delle protagoniste del libro, non possedere più nulla tranne il corpo e la mente. E sapere che questi due elementi sono stati utilizzati. A volte male, certo, ma sempre con volontà. L’utilizzo è segno di una vita trascorsa; le cicatrici, le smagliature, i dolori fisici ed emotivi che un corpo e una mente si portano dietro sono cicatrici del vissuto. E quindi, c’è la riappropriazione di esso. Osservare il collasso della vecchiaia e dire: “Io ho esistito”, dove il verbo avere non costituisce un utilizzo improprio, ma evidenzia il possesso e la rivendicazione dell’esistenza, dell’essere stati vivi fino all’ultimo secondo.

Quell’attimo di riappropriazione del sé è il fulcro dell’arrivo. Corpi prima celati si svelano con orgoglio, il pudore scansato in nome di quegli ultimi attimi di desiderio e passione. Dell’ultimo morso alla vita.

E per un sesso, quello femminile, il cui desiderio è diventato di pubblico dominio solo nel Novecento e che subisce ancora la castrazione delle pulsioni, la rivendicazione sta nel non nascondimento, nella perdita di vergogna per le imperfezioni manifeste, per le voglie finalmente espresse.

Spazzolare il gatto può sembrare solo una raccolta di racconti, ma è molto di più: è un inno alla vita e alla liberazione – fisica e mentale – del corpo e del desiderio femminile, in cui la morte è solo la prosecuzione del viaggio. Un piacere nuovo da scoprire.

Giulia Manzi