Settembre 1972, di Imre Oravecz: il canto agrodolce della vita

Quando ho deciso di leggere Settembre 1972, mi è stato consigliato di centellinarlo, perché «tutto insieme fa male­».

Siccome sono sempre stata molto brava ad ascoltare i consigli, l’ho terminato in meno di due giorni. Traguardo facile, perché l’opera di Oravecz è composta da poche pagine, con riportati novantadue fotogrammi per raccontare l’inizio e la fine di una storia d’amore.

Novantadue fotogrammi per straziarti l’anima, per la loro intensità, per il ritmo incalzante, privo di pause lunghi… novantadue interminabili periodi che lasciano senza fiato e con un peso sul petto.

Eppure, Settembre 1972 non è un libro angosciante, né triste, né drammatico. Anzi, è un libro che descrive la Vita tramite una vita, con i suoi alti e i suoi bassi.

Ti pone davanti all’aut-aut Kirkegaardiano, ma non ti guida nello scegliere tra gli elementi della dicotomia. Mostra, senza imporre; incalza, ma non spinge.

E quando arrivi alla fine della lettura l’unica frase che ti viene in mente è quella del De Sanctis per descrivere Leopardi come cantore d’amore e di vita: «­depreca la vita, ma la fa amare».

C’è una forza nelle parole di Oravecz che è quella dei grandi scrittori, di chi ha assaggiato davvero il frutto agrodolce dell’esistenza e ne conosce le sfumature. Attraverso le nebbie, la disperazione, la passione che divampa e che si spegne che descrive, riesce a creare degli squarci luminosi, a spingere il lettore ad assaporare l’esistenza e l’esistente.

La natura dell’amore

Settembre 1972 non racconta solo una storia d’amore, né si limita a mostrare le conseguenze di una rottura, il decadimento e la ripresa, bensì apre uno squarcio nella realtà e costringe a riflettere su come l’Amore sia complementare all’Odio; sul suo non essere abbastanza e sul bisogno di riscoprirsi senza l’altro. Oravecz guarda alla natura stessa dei sentimenti: volubili, incostanti, ma permanenti nell’animo umano. Non si può smettere d’amare, ma l’amore si trasforma, muta e invecchia; il compito verso la vita e verso sé stessi, quello più gravoso, è riuscire ad accettare il cambiamento e non crogiolarsi in aromi e relazioni stantie.

Un libro da leggere, non solo per scoprire la letteratura ungherese, ma per guardare dentro la propria anima e sanare le cicatrici che la vita vi ha lasciato.

Giulia Manzi

Fotografie di un amore

Imre Oravecz nasce nel 1943 in Ungheria, dove non ebbe da subito il giusto riconoscimento, ottenendo solo nel 1972 la possibilità di pubblicare il suo primo romanzo, Héj.

Nel 1973 accetta l’invito all’International Writing Program dell’Università dell’Iowa.

Al suo ritorno fu trattato come un dissidente.

A distanza di sedici anni ricevette il prestigioso Premio Attila József, che però rifiutò, è si trasferì negli Stati Uniti per poi tornare in Ungheria nel 1990.

Oggi è riconosciuto come uno dei più importanti autori della poesia e della letteratura contemporanea Ungherese.

In Italia, grazie all’impegno che case editrici come Edizioni Anfora sta svolgendo, è possibile dare riferimento al suo Settembre 1972.

Pubblicato per la prima volta nel 1988 questa casa editrice gli restituisce l’importanza che merita.

Settembre 1972 è un romanzo in versi, novantadue fotogrammi narrati attraverso la delicatezza della poesia.

La trama è tanto semplice quanto unica, proprio come l’amore, semplice e unico allo stesso tempo, ma anche un po’ doloroso.

La storia di un amore tormentato, cercato, sempre inseguito, e a volte non corrisposto.

I due protagonisti si incontrano, si trovano, si separano, ma si pensano, sempre, anche quando tutto sembra finito.

Tra queste pagine troviamo una scrittura essenziale, la cui lettura si rivela autentica ed efficace attraverso il ritmo di una partitura musicale.

Un romanzo da leggere ad alta voce

Se volete leggere questo romanzo fatelo ad alta voce, scoprirete di essere guidati da una forza trainante che nell’arco di pochissimo tempo vi porterà ad essere afflitti per essere arrivati all’ultima pagina.

Ma lasciate che questo libro vi accompagni nella vita, leggetelo, poi di nuovo, e di nuovo ancora, una volta all’anno, ogni fine del mese, ogni settimana, leggetelo per intero, a pezzi, un po’ alla volta, prima una parte poi l’altra, prima la fine poi l’incipit.

Declamatelo, in metro, in bagno o al bar, insomma ogni volta che ne avete necessità.

Accoglietelo e lasciatevi trasportare.

Dedicatelo, a voi stessi, al vostro amato, alla vostra musa, ai vostri figli, per augurare loro un amore intenso e unico come questo.

Tenetelo sempre con voi.

Chiara Orfini