Accento è una nuova casa editrice, che prevalentemente si occupa di esordi. E proprio un esordio è uno dei primi volumi pubblicati da questa nuova realtà: Senza respiro, di Raffaella Mottana. Una storia vivida e soffocante.

Non sono solo il ritmo esaustivo e l’attenzione data ai dettagli a rendere Senza respiro un ottimo esordio, bensì è la voce dell’autrice a colpire maggiormente. La capacità di tratteggiare emozioni e contesti complessi con efficacia e delicatezza, senza però rinunciare a un realismo crudo e diretto.

Cecilia, giovane donna appassionata di fotografia, si trova ad affrontare la malattia della madre. Il suo mondo, durante la degenza, è sospeso nell’attesa dell’inevitabile e le regole maniacali dell’ospedale: mascherina, disinfettanti, calzari… tutto ciò che circonda Cecilia è estremamente controllato e, in qualche modo, confortante nella sua consapevole ripetizione.

Quando la madre viene a mancare, tuttavia, anche il sistema di regole crolla. Cecilia si trova così priva di punti fermi, sospesa tra l’incapacità di lasciar andare il ricordo materno. E il bisogno di una stabilità, di un sistema che le permetta di scandire la propria vita, la porta a esplorare quasi per caso la comunità BDSM, dove elementi come safeword, consenso, uso dell’oggettistica e limiti danno a Cecilia un nuovo “regolamento” per ritrovare la propria dimensione.

Senza respiro: l’asimmetria delle parti

Il primo elemento che colpisce di Senza respiro è l’enorme distacco tra le due parti che compongono il libro. Nella prima, dedicata alla malattia della madre, l’atmosfera si dipana tra i ricordi dell’infanzia, del mare e dei momenti passati con lei, alla narrazione asettica dell’ospedale. Di mani lavate, di odore di disinfettante, di ultime parole e di rassegnazione davanti a uno squarcio di cielo intravisto dalla finestra. Cecilia rifiuta ogni prospettiva di futuro, concentrata sul presente e sul passato. Non pensa che ad accudire la madre, si rifugia nei ricordi, e prova quasi repulsione all’idea di iscriversi a un corso di fotografia o riprendere l’università.

La seconda parte, invece, è incentrata sulla scoperta casuale del breath play, l’input che spinge Cecilia a recarsi per la prima volta a un munch, l’aperitivo BDSM di Milano in cui entra in contatto con un gruppo di ragazzi che si riuniscono dopo per giocare assieme. Tra loro, Tommaso, con cui si spinge a fare giochi più pericolosi e con cui sembra recuperare una dimensione di stabilità. Anche se ci si aspetta un mutamento di ritmo rispetto alla prima parte, questo non cambia: l’asetticità della percezione di Cecilia trascina il lettore nel suo distacco emotivo dalla vita, almeno finché qualcosa in lei non si risveglia.

Questo gioco dicotomico si estende nei vari elementi della narrazione: le atmosfere rilassanti e vivide del mare si legano alla sterilità mortifera dell’ospedale; la sicurezza dell’ambiente BDSM si contrappone al desiderio di Cecilia di perdere del tutto il controllo, anche a discapito della propria sicurezza. L’intera trama di Senza respiro gioca proprio sull’asimmetria e sul bisogno di abbandonarsi, di affidarsi, in qualche modo, a un elemento esterno dopo che la morte ha portato via l’unico pilastro solido della propria esistenza.

La perdita e l’abbandono

Proprio sulla perdita di controllo, sull’affidamento, si scandisce il ritmo. La perdita della madre e l’assenteismo di un padre troppo preso dal lutto sono gli elementi di disgregazione della realtà. L’inevitabilità della morte non consente il controllo, non permette di guidare la situazione. E questo senso di soffocamento, di perdita ineluttabile, costringe Cecilia e con lei il lettore a confrontarsi con la realtà: i genitori non sono eterni, non sono immortali e, prima o poi, si resta soli con un mucchio di ricordi offuscati tra le dita. Delle foto appannate, ingiallite dal tempo, sempre meno definite.

Questo è il primo momento in cui si perde il respiro. In cui la vita soffoca e distrugge le certezze. Cecilia è dispersa da sé stessa, imprigionata nell’assenza di percezioni. In un fenomeno simil-depressivo, il lutto si manifesta nel distacco dalle proprie emozioni. L’approccio di Cecilia al mondo è freddo; l’asetticità dell’ospedale e l’illusione di controllo che le ha dato col suo sistema di regole si proietta all’esterno e, quando viene meno, Cecilia si “blocca” emotivamente, soffocata dalla pressione del mondo. Almeno finché il soffocamento non diventa reale e non le consente, di nuovo, di sentirsi viva.

Ma il BDSM non basta. La necessità di Cecilia si fa più forte; la ricerca di un nuovo pilastro dopo l’abbandono della madre la spinge a ricercare pratiche sempre più estreme con Tommaso, un uomo più grande di lei che le dà la sicurezza incondizionata dell’esperienza, almeno finché il loro rapporto non prende una strada troppo confidenziale che allarma Cecilia. Risveglia troppe emozioni, troppo desiderio, troppa vita perché la possa accettare.

E il senso di soffocamento e di abbandono qua si fa più forte, assieme a un’inattesa maturazione che vede Cecilia rapportarsi col lutto della madre e restare senza respiro fino a una pratica che accoglie in sé morte e rinascita.

Il confine superato. Senza respiro: tra vita e morte

Raffaella Mottana riesce a inscenare nel suo esordio una travalicazione di confine: vita e morte, passione e distacco, controllo e abbandono, si alternano in una spirale di fiducia e allontanamento che continua a intrecciarsi su sé stessa. Senza respiro riesce ad accendere un faro sui limiti, sui bisogni e sulla nebbia del lutto e le sue più estreme conseguenze. Il tutto con uno stile paratattico in grado di catturare il lettore sin dalle prime righe e chiuderlo nella psiche claustrofobica di Cecilia, condividendo con lei esperienze che prima o poi toccano, tragicamente, tutti.

Giulia Manzi