Pensa il risveglio
Pensa il risveglio, di Alessandro Cinquegrani (TerraRossa Edizioni) è un libro sulle crepe: della vita, della memoria, dell’anima. Non solo, è un libro sulla coscienza del sé, un viaggio nell’inconscio a partire dalla frantumazione della realtà, sul gettarsi in quella frattura che si interpone tra noi e il reale e in cui l’autore fa immergere il protagonista.
Pensa il risveglio è anche un viaggio. Tormentato, piacevole, disturbante, da intraprendere attraverso le righe e da cui svegliarsi, come succede ad Alberto, mutati, in un processo kafkiano di metamorfosi dello spirito. Il “lettore ideale” viene definito, nella costola: “chi ha provato il desiderio di scomparire, di sottrarsi alle proprie responsabilità; chi subisce il fascino delle rovine; chi sa che le ideologie e i regimi non si sconfiggono mai una sola volta e per sempre; chi ama farsi continuamente sorprendere dalla letteratura“, ma si rende necessaria un’aggiunta: il lettore ideale del testo di Cinquegrani è colui che nonostante la paura di tuffarsi in sé, si getta nell’ignoto con la consapevolezza di poterne uscire cambiato; chi non ha paura di indagare le pieghe della storia e ritrovarvi il presente.
Un viaggio nella coscienza
Lorenzo è scomparso quando le riprese del suo film sono quasi terminate; il narratore ne segue le tracce e, mano a mano che passa il tempo, si impossessa della sua vita. Lorenzo potrebbe essere morto, ma la sua presenza si insinua nella coscienza degli altri personaggi, con la sua ombra sinistra. Nel frattempo c’è qualcosa che non funziona, continuano ad aprirsi delle crepe nella realtà di questo mondo, a riproporsi frammenti di vita e visioni, a ritornare i nomi di Albert Speer, architetto del Terzo Reich e confidente di Hitler, e di Josef Mengele, il medico assassino di Auschwitz. Quando il narratore scoprirà della gravidanza della compagna di Lorenzo, Cate, la storia prenderà un’accelerazione che lo porterà a compiere scelte di cui non sembrava capace. Un romanzo intenso e politico che ci interroga continuamente sulla responsabilità di essere al mondo.
C’è un frammento, ne Il libro dell’inquietudine di Pessoa, in cui il poeta portoghese parla della “scala profonda”, quella a cui è necessario affacciarsi per guardare dentro di sé:
Quando voglio pensare, vedo. Quando voglio scendere nella mia anima, mi fermo
Fernando Pessoa, Il libro dell’inquietudine, Newton Compton Editori, Torino, §55, pg. 49
improvvisamente, pensoso, all’inizio della spirale della scala profonda.
Pessoa esprime in questa frase il senso dell’indagine filosofica: conoscere il mondo e, siccome noi siamo parte del mondo, noi stessi. Chiunque si cimenti nell’impresa si trova però immerso nel paradosso dell’impossibilità, perché la conoscenza del sé e del mondo è irraggiungibile: il kosmos è troppo vasto, per essere conoscibile. Così l’uomo indugia sul bordo di quella scala, alla ricerca di una luce che permetta di farsi largo nell’abisso della coscienza. Pensoso, resta immerso nella sua angoscia esistenziale, nella tensione conoscitiva che cerca di dare forma all’apeiron.
Privi di verità assoluta e con solo quelle che Husserl definisce “supposizioni di identità”, ci si arrabatta nel tentativo di colmare le crepe, di attraversare la frattura che si interpone tra noi e il kosmos. Questo è il percorso che fa Alberto, il protagonista di Pensa il risveglio. Quando la realtà si comincia a scomporre davanti ai suoi occhi, intraprende il viaggio per percorrere la scala, su cui indugia, annaspa, mentre – in uno strano parallelismo tra Alberto/Speer e Lorenzo/Mengele reso magistralmente da Cinguegrani – cerca di creare dei ponti sulla frattura, di colmare il vuoto esistenziale a cui, come essere umano appartiene di nascita.
Alberto non è un uomo deciso: è un’entità passiva, almeno in apparenza, che viene chiamato all’azione dalle circostanze misteriose in cui sparisce Lorenzo. L’agire, l’actum, è ciò che lo costringe a prendere consapevolezza della propria identità del proprio contributo alla vita. Non per nulla, è proprio l’azione consapevole, il movimento del logos che
innalza le singolarità sino al concetto e che consente alla
Michael Foucault, L’ordine del discorso e altri interventi, Einaudi, Torino, 2004, pg. 25
coscienza immediata di dispiegare alla fine tutta la razionalità del mondo
Alberto è un novello Platone che esce dalla caverna e scorge la luce. Eppure è anche il primo a lottare con sé stesso per accettare i contorni reali delle cose. Li rifiuta, all’inizio, Si autocontrasta, ma proprio in virtù della tensione conoscitiva, dello spalancarsi infinito del kosmos davanti a sé, non può ignorare i collegamenti che si rivelano a poco a poco, in una narrazione incalzante, complessa, disposta su tre piani narrativi (il film, la ricerca di Alberto, il mondo reale). Quando le crepe si fanno sempre più numerose, quando la verità del mondo comincia a filtrare da esse, è costretto a strapparsi il velo dagli occhi e accogliere la luce, invece di evitarla. Ad agire e non a lasciarsi agire. A passare da principio passivo a principio attivo della propria storia, creando dei ponti sulle fratture, dei collegamenti che aprono a un’interpretazione maggiore, a un senso di comunità col mondo e per il mondo.
Pensa il risveglio: un ponte sulla frattura
Attraverso i ponti, Alberto riconosce “l’estraneo che ero io stesso per me” (Luigi Pirandello, Uno, nessuno e centomila) e accede alla propria “cognizione dell’inconoscibilità” (R. Barthes, Frammenti di un discorso amoroso, Einaudi, Torino, 1979, 108 38). Nel tentativo di spiegare l’inconoscibilità dell’altro (Lorenzo), prova a ritrovare la propria identità. Supera e amplia la dif-ferenza derridiana, quella linea mediana che rompe la continuità del singolo entrando dentro la predominanza dello sguardo dell’altro e che “media il realizzarsi del mondo e delle cose nella loro propria essenza, cioè stabilisce il loro essere l’uno per l’altro” (J. Derrida, La scrittura e la differenza, Einaudi, Torino, 1971, 2002).
Nel separarci, idealmente, dallo sconosciuto di fronte a noi, lo riconosciamo e così avviene l’incontro e la separazione che permettono di determinare l’identità. Alberto si riscopre, amplia i ponti e si pone in una molteplice proiezione del sé (Alberto in Lorenzo, Lorenzo in Mengele, Alberto in Speer…), esprimendo il profondo valore della narrazione e della memoria.
Pensa il risveglio è infatti anche un libro sull’importanza della narrazione: attraverso questa, proiettiamo noi stessi, ci sveliamo in una trasfigurazione, con un processo di mimesis che sconfina nell’immaginario e squarcia il velo del reale. Non per nulla, è il film di Lorenzo (Albert Speer è morto o Nostalgia dell’acqua) a raccontare in modo parallelo la storia che genererà le crepe in cui si rivela il kosmos.
Ma narrare è anche il mondo in cui ci si approccia alla memoria – personale e collettiva. In quanto creature fatte di storie e di carne, cerchiamo di opporci al vuoto e rispondere a una “Creazione raffazzonata” (E. Cioran, Esercizi di ammirazione. Saggi e ritratti, Adelphi, Milano, 1988, pg. 187), di correggere il disordine
che ci circonda e ritrovare “il senso da attribuire alla storia vissuta al passato o ancora in decorso” (D. Demetrio, La scrittura clinica, Raffaello Cortina, pg. 73). Raccontare storie in cui ci riconosciamo, serve a persistere e sviluppare un pensiero che possa guardare al futuro, senza scordare il passato.
Ogni narrazione è incontro: tra narratore, fruitore e memoria, la conservazione e lo svelarsi di un passato comune all’interno di una comunità narrativa, o nel rapporto tra più di queste, che pone in relazione culture, usanze, misteri di individui altrimenti troppo distanti che trovano nelle parole un ponte per comunicare.
Prescindere l’opera di Cinquegrani da tutto questo, significherebbe darle una lettura superficiale. Attraverso la finzione narrativa, infatti, l’autore di Pensa il risveglio solletica le corde dell’animo, dà di nuovo corpo e consistenza al thauma e costringe il lettore ad affacciarsi alla propria coscienza, esattamente come fa Alberto. Travalica i confini de Il mondo di sopra e Il mondo di sotto di ciascuno di noi, chiamando alla vita (emblematico che sia proprio la notizia di diventare padre, quindi di diventare responsabili di una nuova vita, a provocare la prima, grande scossa per il risveglio) che altro non è che azione, costante divenire e costante mutamento.
Il trasformismo di Speer, che Alberto condivide per natura, sebbene condannato rispetto alla coerenza malvagia di Mengele, diviene così simbolo di chi getta ponti e non li distrugge, di chi è capace di tuffarsi nel divenire del tempo, dello spazio e della vita. Ma è anche un’avvertenza: l’adattamento a ogni costo può causare la perdita di sé e, alle volte, si è chiamati a fare un passo indietro, a scegliere di non diventare altro, per poter agire in piena coerenza etica, per potersi definire, in un ultimo atto di consapevolezza prima di rituffarsi nel mondo.
Giulia Manzi
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