Il cosmo ha una sua vibrazione che si assesta su un’armonia precisa. In corrispondenza di questa, è possibile è entrare in comunione con il Tutto, ascendere a una comprensione più ampia della vibrazione originaria. In questa cosmogonia inedita, che sa un po’ di Pepsi, di spinelli adolescenziali mai spenti, di quella musica che risuona, e risuona, e risuona, Lorenzo Bianchi trascina senza pietà chi si accinge a leggere e a seguire lo svolgersi di un mistero sulle tracce di una fanzine dimenticata e uno spartito impossibile da suonare.

Proprio con un concerto irripetibile si apre Pellegrino è l’universo, la quindicesima novella della collana 42nodi di Zona42. In seguito, un salto temporale ci sposta al 13 settembre 2017, durante un’alluvione che seppellisce sotto la fanghiglia persone e cose.

Eppure, questo stesso fango – denso e viscido, molto concreto – non si limita a nascondere, ma riporta alla luce una vecchia sala prove dove si trova un tesoro, almeno per Pellegrino e la sua ex, Sofia: un recipiente pieno di ricordi di Niccolò, fratello di lei e amico di lui. Al suo interno, uno strano spartito illeggibile – e insuonabile – e le pagine conservate di una fanzine musicale che parlano del concerto del secolo, spingeranno Pellegrino e Sofia a mettersi sulle tracce dello scomparso Niccolò, incontrare degli insoliti personaggi e recuperare un’armonia con ciò che li circonda.

Pellegrino è l’universo: il ritmo del cosmo

Pellegrino è l’universo è una breve novella che, nonostante la sua lunghezza, riesce a trascinare il lettore in una narrazione pregnante e coinvolgente. Musicale, in realtà, perché attraverso le ricerche di Pellegrino e Sofia ci si muove al suono di una melodia sconosciuta, capace però di vibrare con le corde più profonde dell’anima. La scrittura ironica, schietta – per non dire “grezza” – di Bianchi scandisce un ritmo sincopato, drastico, frenetico, eppure rilassante come un suono ASMR.

Vibrazioni, di questo si tratta. Semplici e potenti vibrazioni che trasudano dalle parole alle pagine, dalle pagine allo sguardo, e scendono, fino al ventre, prima di esplodere in un coinvolgimento cosmico, perché la melodia – quello spartito insuonabile – la percepiamo ogni giorno nel sangue che scorre, nel fruscio del vento, nel respiro silenzioso delle piante. Un suono che si espande, come l’universo, e dà origine al riconoscimento del tutto.

Pellegrino è l’universo è un libro che fa sentire un po’ pipistrelli: si procede alla cieca, come Sofia e Pellegrino. Un po’ guidati dal caso, un po’ da uno strano sonar interiore che porta a scorgere la direzione giusta, a intravedere gli ostacoli lungo il cammino. Si è, appunto, pellegrini del cosmo, e non è una coincidenza il gioco di parole nel titolo: è l’universo, a essere “pellegrino”, a errare, a essere estraneo al tempo presente, o è Pellegrino – e quindi noi tutti, perché Pellegrino, nella sua natura tragicamente difettevole, siamo noi tutti – a essere l’universo, il tutto?

Il significato stesso di pellegrino, come individuo estraneo al proprio tempo (al tempo, quindi anche al tempo del suono, del ritmo) e al proprio luogo (sbandamento, generazione priva di futuro… Pellegrino si crogiola in una vita priva di direzioni), ma anche come viaggiatore verso una meta sacra, è catartico. Il significato linguistico del termine qua si fonde in significanti, simboli, nomi propri. Verbi, parole che danzano e compongono una lingua nuova, ma universale: quella della musica.

Forse, Pellegrino è l’universo non sarà un libro capace di regalare una lettura lunga, ma appartiene a quella schiera di libri che risuonano con chi ha il coraggio di aprirli e lasciarsi trascinare dalla commistura di melodie dissonanti che, con la giusta vibrazione, divengono un’armonia.

Giulia Manzi