Ossessione: un romanzo dimenticato di Richard Bachman
È il 1966, quando Stephen King stende su carta le prime parole di un romanzo che vedrà la luce solo undici anni più tardi, col titolo Rage (Ossessione nell’edizione italiana, tradotta da Tullio Dobner, per Sonzogno). Passano altri undici anni, e Stephen King chiede che venga lasciato andare fuori catalogo: nel dimenticatoio, vietata la ristampa.
Oggi una copia paperback di Rage arriva a costare più di mille euro. Cos’aveva di così speciale e terribile questo romanzo, il primo pubblicato sotto lo pseudonimo di Richard Bachman? Quali fantasmi poteva nascondere la penna di un famoso scrittore, all’epoca appena diciannovenne?
L’unico rumore era quel ronzio assonnato come di sciame d’api che significa che è di nuovo mercoledì, mercoledì mattina, le nove e dieci minuti, tutti impigliati per un altro giorno nella splendida ragnatela di Mamma Educazione.
Un ragazzo come tanti
Charles Everett Decker non è un ragazzo come tanti. Prima di tutto, è debole di stomaco. E poi sembra vivere in un livello esistenziale diverso rispetto a quello altrui – in parole povere, direbbe lui, è matto. Questo pensa il preside della sua scuola, quando lo espelle. Questo pensa lo psicologo scolastico, mr. Grace, quando cerca di capire perché abbia colpito alla testa un professore. Questo pensa chi lo giudicherà infermo di mente per ciò che sta per accadere.
Perché Charlie Decker, una volta ricevuta la notizia della sua espulsione, prende la pistola di suo padre. Entra in classe. Uccide con un colpo la professoressa di Algebra e tiene in ostaggio i suoi compagni. Perché quando sei matto – o vivi a un livello esistenziale diverso, fate voi – fai cose senza alcuna logica, cose incomprensibili a chiunque.
… Giusto?
Ma nessuno ha detto una parola. Sono rimasti tutti al loro posto in un silenzio sbigottito a guardarmi con la massima attenzione. […]
Tutti gli altri mi osservavano, dopo aver alzato la testa dal trogolo dello choc.
“Questa operazione è nota come la svolta,” ho ritenuto opportuno precisare.
Nessuno scappa. Quasi nessuno si turba, a parte uno svenimento e un urlo solitario, quasi timido. Nessuno (quasi nessuno) sembra temere per la sua vita.
Nessuno ha detto niente: sarà stato per cinque minuti, fino a quando le autopompe sono arrivate al liceo. Mi guardavano e io guardavo loro. Forse in quel momento ancora avrebbero potuto fuggire e ancora mi si chiede perché non l’hanno tatto. Perché non si è scatenato un gran fugone, Charlie? Che cosa gli hai fatto a tutti quanti? Alcuni me lo chiedono quasi con paura, come per tema che avessi fatto ricorso a un malocchio. Io non gli rispondo. Io non rispondo a domande su che cosa è successo quel giorno nell’Aula 16. Ma se cercassi di rispondere qualcosa, sarebbe che si sono dimenticati che cosa vuol dire essere ragazzo, vivere a gomito a gomito con la violenza, con il tran-tran delle scazzottature in palestra, le risse ai balli di Lewiston, i pestaggi in televisione, gli omicidi nei film.
Charlie quel giorno ha un solo ostaggio, Ted Jones, il più “inquadrato” della classe. Tutti gli altri sembrano capire perfettamente che cosa si è spezzato nella sua testa.
L’Ossessione dell’adolescenza: una frattura incolmabile
Forse nella vita di ogni persona vi è un breve momento in cui si è in quel livello esistenziale, quella sottile linea di demarcazione fra l’adolescenza e l’età adulta. Il momento in cui si è ancora fragili e vulnerabili, il momento in cui si fanno le prime esperienze sessuali, il momento in cui le ragazze diventano coscienti delle molestie che subiscono, il momento, soprattutto, in cui guardi con giudizio i tuoi genitori.
A volte con odio. Puoi accettare di avere qualche turba mentale, ma avrai sempre il dubbio: saresti stato (più) sano di mente, se non avessi sentito tuo padre raccontare che avrebbe squarciato il naso a tua madre in caso di tradimento?
“E la donna, Carl?” volle sapere Al Lathrop […] “È questo che mi piacerebbe sapere. Che ci fai a una donna che fa entrare qualcuno dalla porta di servizio… servizio? Eh?”
Il coltello da caccia trasformato in lancia si mosse lentamente nell’aria. Mio padre rispose: “I cherokee le avrebbero fatto un taglio nel naso. L’idea era di metterle una fica in faccia, così tutta la tribù avrebbe saputo con quale parte del corpo si era cacciata nei guai.”
[…] guardai l’ombra del coltello da caccia di mio padre che si spostava lentamente avanti e indietro.
Charlie non lo sa. Charlie non passa il tempo a incolpare suo padre per ciò che ha commesso. Forse sarebbe stato tutto più facile, disfarsi della responsabilità del proprio malessere e addossarla a un genitore; forse è proprio il dubbio a mangiarti lentamente il cervello.
Ma qui non si tratta solo di genitori, qui si parla di tutti gli adulti. Che si riempiono la bocca di parole altisonanti ma ti vedono come un soggetto da schedario, che a fine giornata puoi chiudere a chiave in un mobile. Un caso da affrontare. Un criminale da acciuffare, per coprirti di gloria, un figlio da vantare, un ornamento da fischiare per strada. “Ti macinano”, dice Porcile, uno degli “ostaggi” di Charlie Decker.
Una terapia di gruppo con cadavere
“Ho l’impressione che sia tutto qui,” ha detto [Sandra].
“O tutta cervello o tutta fica,” ha concluso Carol con fragile sarcasmo. “Non resta spazio per molto altro, vero?”
“Certe volte,” ha ripreso Sandra, “mi sento molto vuota.”
“Io…” ha cominciato Carol, ma poi si è voltata verso Sandra, stupita. “Sul serio?”
“Sì.”
Durante questa sessione di “terapia di gruppo con cadavere” i ragazzi fanno emergere dalle tenebre tutti i loro segreti più vergognosi, i pensieri che colpevolmente transitano nelle loro menti come nuvole in cielo durante una giornata ventosa. Gli scontri e le liti vengono affrontati ordinatamente, in una sorta di spaccato idilliaco di civiltà che durerà solo quattro ore, durante le quali la polizia supplica Decker di rilasciare i suoi compagni.
Ma Decker, come detto, ha un solo ostaggio. E alla fine della svolta, è tempo di occuparsi di Ted Jones, di aiutarlo a capire, a salire a quel livello di coscienza in cui tutti si sono incontrati e hanno condiviso la loro anima.
Carrie vs. Ossessione: la difficoltà dell’esordio
Leggendo Ossessione viene naturale paragonarlo al primo romanzo (in ordine di pubblicazione) di King: Carrie. Fortemente aiutato da sua moglie, lo scrittore del Maine è riuscito ancora una volta a inserirsi nelle dinamiche di una scuola superiore, per la precisione nella mente di una ragazza bullizzata che scopre di avere poteri tele e pirocinetici. Anche in quel libro vi sono echi del malessere giovanile, e non solo da parte di Carrie: basti pensare alle riflessioni della popolare Sue, che si sente una sorta di marionetta, come se interpretasse un ruolo preimpostato. Ha l’idea che ci sia una coppia come lei e il suo ragazzo in qualunque high school americana, e questo le fa sembrare tutto finto.
Finendo la lettura di Ossessione, è facile capire perché il libro sia stato ritirato. Non è raro, negli Stati Uniti, che un ragazzo vada a scuola con la pistola e uccida qualche studente o qualche insegnante.
La prosa è discorsiva e scorre fluidamente: anche senza volerlo ci si ritrova immersi nei processi mentali di Charlie Decker. È davvero molto difficile essere distaccati, non empatizzare con lui, non fare il tifo per lui. Vuoi perché innamorati di questo anti-eroe, vuoi perché illusi di trovare lo stesso tipo di intimità coi propri compagni di scuola, almeno due ragazzi hanno letto questo romanzo e poi hanno compiuto omicidi all’interno della scuola. Uno di loro lo teneva nel proprio armadietto.
La croce di Ossessione è di essere un grande libro
Si può parlare fino allo sfinimento di libertà artistica, di perbenismo e di censura, ma una cosa è certa: la croce più grossa di Ossessione è il suo essere un grande libro. Uno dei migliori di Stephen King: coinvolgente, capace di toccare l’anima… anche troppo.
E come King stesso dichiara, viene un po’ da chiedersi che cosa gli passasse per la testa mentre lo scriveva, a diciannove anni, l’esperienza della scuola superiore ancora fresca alle spalle. O forse no, forse c’è solo da ammirarlo, perché la caratteristica dei bravi scrittori è la loro capacità di immedesimarsi in qualunque tipo di personaggio. E tirare il lettore con sé: che si tratti di trascinarlo in trionfo sulla cima di una montagna, o scaraventarlo nel baratro più oscuro.
Ossessione non è un romanzo perfetto. Ma ha tutto quello smalto che i più recenti libri di Stephen King hanno ormai perso, è come un bocciolo sul punto di fiorire: non ancora una stupenda rosa, ma contiene tutto il profumo di un talento che sta per sbocciare. In un certo senso rende anche un po’ tristi, perché dà l’impressione che lo scrittore del Maine avrebbe potuto essere molto più grande di così.
Giulia Taccori
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