La minzione: primo atto masturbatorio, oggetto di scherno e d’eccitazione. Elemento sporco, racchiuso in una sacca – la vescica – autonoma, incontrollabile. E quando scappa, scappa, in un fiotto liberatorio che suscita curiosità e imbarazzo. Proprio attorno all’atto della minzione, declinato nel suo aspetto artistico, storico, letterario, biologico e perfino spirituale, ruota la trama di L’oro è giallo, esordio di Benedetta Fallucchi per Hacca Edizioni.

La vescica, sede dell’anima

Secondo gli Inuit, l’anima risiede nella vescica. Per questo, le vesciche delle foche vengono rimandate in mare, come tributo alla caccia. Similmente, la protagonista di L’oro è giallo manda la propria vescica per mare e la recupera gonfia di pepite d’oro. Attenzione! Questa è una metafora, perché in L’oro è giallo l’unica magia è la trattazione con sapiente ironia di un tema che è considerato ancora oggi tabù: la minzione.

Rimandare la vescica al mare, ovvero restituirla al luogo d’appartenenza, è il primo passo per il rilascio. Si può trattenere, la pipì. Si può contrarre la vescica nel tentativo di contenere il getto, o direzionarlo, o esercitare una qualsiasi forma di controllo parziale. Sì, parziale, perché a un certo punto la vescica impone la liberazione di sé stessa, l’evasione delle scorie. L’atto di emancipazione definitivo: pisciare, fino a prosciugarsi. Urinare per non esplodere.

Ed è proprio su quest’estremo gesto di affermazione che la protagonista, affascinata dall’arte della minzione, si sofferma. La ricerca, la studia, ne ripercorre la storia attraverso l’arte ed elabora come l’espletazione di un bisogno naturale abbia attirato su di sé occhi curiosi e giudicanti (quando esibita), e morbosi ed eccitati (quando nascosta).

Ma cosa c’è nella vescica, soprattutto in quella femminile, che suscita la dicotomia da sempre incollata sulla donna di sacro e profano? Come mai un atto così spontaneo nell’infanzia e ostentato, quasi, dal mondo maschile nell’età adulta, quando riguarda i corpi XX diventa “sporco” o erotizzato?

L’oro è giallo: quando la vescica è femmina

La risposta sta tra i ghiacci: l’anima risiede nella vescica, unico organo incontrollabile, autonomo. Femmina. Perché se la presuntuosa uretra, così palese e arrogante nel genitale maschile, è l’ostentazione del mondo e del potere degli uomini – nonché oggetto di competizione – la vescica è davvero femmina. Nella storia, nella capacità di grande sopportazione della tensione, fino all’esplosione distruttiva o al grido liberatorio di espletazione. Femmina, appunto. Una riproduzione organica della storia delle donne, dei processi mentali che accompagnano una forma mentis lobotomizzata da secoli di sudditanza.

Urinare, in L’oro è giallo, è prima di tutto una presa di coscienza. Attraverso la minzione e l’attenzione maniacale alla propria vescica – attenzione, oltretutto, generata dal trauma imposto a tutte le bambine di “trattenersi”, di “non farla in pubblico”, di “non appoggiarsi” e del conseguente rischio di “farsela addosso”, o perlomeno di sporcare scarpe e pantaloni – la protagonista e voce narrante esplora la propria vita di madre, di moglie, di amante… di persona, la cui vita è in uno stato di costante costipazione. Trattenersi, centellinare le gocce, non è solo il residuo di un modus vivendi imposto da un’educazione rigida, ma anche un habitus in cui adagiarsi, così da mantenere la statica ordinarietà del quotidiano.

Però, come accennato, la vescica ha un limite. Tesa al massimo, richiede la liberazione, la depurazione dalle scorie e, assieme a questa, avviene anche la purificazione dell’esistenza, la presa di consapevolezza che, per vivere, a volte bisogna anche saper farsela addosso (o appoggiarsi alla tavoletta in un autogrill).

L’emancipazione sta tutta lì: in un atto di accettazione e comprensione di un organo che ci appartiene molto più intimamente di quanto si pensi. Nel riversarsi dall’interno all’esterno del corpo, anche nelle emanazioni più disgustose e naturali. Prendersene cura, pure, di quella parte facilmente infiammabile, soggetta a infezioni, come se fosse davvero la sede della nostra anima. Perché essa, come la vescica, ha bisogno di espellere, di essere accudita, di liberarsi. Sempre.

Giulia Manzi