Oreo è una ragazza, mezza bianca e mezza nera, come il biscotto di cui porta il soprannome – peraltro nato dalla storpiatura della parola Oriolo dalla matronesca nonna Louise. Nata da madre afroamericana e da padre ebreo, entrambi artisti (l’una, l’altro forse) la protagonista, si ritrova a compiere un viaggio epico alla ricerca del padre scomparso.

Con sé, una lista di indizi, un bastone da passeggio, un borsone carico di cibo e una capacità linguistica e analitica eclettica, fuorviante e quasi distorta.

Quindi, ricapitoliamo: Oreo è una ragazza, un’ebrea afroamericana, alla ricerca del padre. E, dopo questa premessa, passiamo al libro, perché Oreo sì, è anche questo.

Un poema epico moderno a due gusti

Vaniglia: la Néa

Il primo gusto, è una genesi ante-litteram, fatta di vite brevi, funambolesche vicende editoriali e ripescaggi improvvisi. Fran Ross, giornalista, scrittrice e autrice televisiva afroamericana, ha infatti scritto un solo libro: Oreo.

Il testo, pubblicato per la prima volta nel 1974, non ebbe grande successo. Finì così, come nella migliore Néa (la commedia Nuova greca), nel cesto degli “scarti”. Condannato alla povertà e alla miseria, Oreo è stato recentemente “riconosciuto” dalla New Directions in tutto il suo valore. Ha convolato così a giuste nozze con il successo, fino ad approdare in Italia, grazie a Edizioni SUR e alla splendida traduzione di Silvia Manzio.

E vissero felici e contenti. Applausi, sipario.

Cioccolato: l’epos

Il secondo gusto è quello di un poema epico moderno.

Fran Ross ripercorre le tappe del mythos nell’America degli anni ’70, per raccontare la leggenda della sua eroina: Oreo.

I temi portanti del genere ci sono tutti: la protasi, in cui si raccontano in breve le vicende che hanno portato al concepimento della protagonista; i patronimici (che vedono la giovane discendere da famiglie poco divine, molto carnali); la diegetica e la narrazione delle gesta di un personaggio che, in qualche modo, è superiore agli altri. Anche la presenza di docenti eruditi affonda le sue radici nella struttura classica. Nei precettori d’Oreo è facile riconoscere un Chirone o un Mentore, se non un socratico lattaio dal nome di un poeta (Milton) che si interroga assieme a un’Oreo-bambina sull’evoluzione umana e sullo stare al mondo.

Il risultato della narrazione di Fran Ross è un poema su una creatura leggendaria, capace di superare tutte le avversità che le vengono imposte da un padre/divinità attraverso enigmi nebulosi. Poco importa che siano prendere a calci un pappone, o salire sull’autobus delle pazze. Oreo ne esce vincitrice, superiore – d’altronde, lei non si sente “minore” a nessuno, per questo odia quando l’appellano come “minorenne”, nonostante la giovane età.

Lingua bigusto: tra oreolità e scrittura

Prendete un mixer e metteteci dentro: classicismi greci e latini, yiddish, slang, neologismi, vernacolo, giochi di parole. Fatto? Bene, ora shakerate il tutto e avrete, forse, una piccola idea dell’incredibile varietà linguistica di Oreo.

Fran Ross mischia, e tanto, le parole. Ci gioca, in rocamboleschi schiocchi (anzi, scrocchi) di lingua, in un gioco di neonarrazione che miscela la lingua scritta con la tradizione orale.

E, se l’oralità primaria, quella delle civiltà prive della scrittura, è una struttura che ci risulta quasi inconcepibile, in Oreo è possibile forse avvicinarvisi.

L’intero testo, è difatti un poema epico. Ma non un’Eneide, che nasce e viene codificata per la forma scritta. Si avvicina, molto di più, alla struttura dell’Iliade, o dell’Odissea, strutturate per una cultura pre-grafica che nella traduzione scritta perdono quei tratti così vividi e complessi della pura oralità.

Lo stile di Fran Ross si avvicina in modo sorprendente all’oralità primaria, L’autrice comprime la storia di Oreo e le sue grandi gesta sulla carta; piega l’oralità all’immagine figurata, ma senza riuscirci del tutto, per fortuna di noi lettori a cui viene restituita in tutta la sua genuinità vocale.

Questo accartocciarsi sulle regole della scrittura, ma al contempo fletterle e usarle per esprimere un carattere squisitamente orale della narrazione, è un’abilità unica. Oreo, nella sua neo-linguistica, riesce a trasmettere tutta la malleabilità del parlato e del non-pensato per iscritto. I suoi personaggi, dotti, acculturati, saggi a loro modo, non parlano come persone reali, ma neanche come creature fittizie. Affondano le radici del loro disquisire direttamente nel mito, mischiando termini colti con inflessioni gergali e restituendo al fruitore una lingua non codificata, viva, in costante mutamento anche nella narrazione stessa.

Oreo e la modernità

Oreo è un romanzo epico contemporaneo. Non importa la sua ambientazione, o la struttura arcaica: è universale, perché solleva problemi quanto mai attuali e lo fa attraverso la risata.

Tra una battuta, un gioco di parole, un episodio rocambolesco e il susseguirsi di personaggi caratteristici, Oreo solleva il problema del razzismo, della condizione della donna, delle situazioni sociali che ristagnano invece di evolversi. Si colloca con furia avveniristica in una modernità molto più vicina di quella descritta dall’autrice con la forza di un classico immortale.

Oreo diviene così una doppia esperienza: di vita e di viaggio. Una lettura che, come il Piccolo principe con cui condivide la narrazione episodica e l’incontro costante con personaggi paradossali ed eterogenei, permette di ritrovare a ogni nuova lettura elementi di riflessione.

D’altronde, il libro è un retelling moderno, femminile, caustico e ironico del mito di Teseo. Una rilettura in chiave quasi fumettistica, che strizza l’occhio alla cultura pop e al mito in egual modo e che è in grado di tenere incollato il lettore più esigente dalla prima, all’ultima pagina.