Cosa può esserci di peggio di un naufragio? Della sensazione di sentirsi dispersi senza possibilità di salvezza?

Semplice: far naufragio nello spazio, per la precisione vicino a Vesta, con la consapevolezza che la civiltà è a pochi parsec di distanza, perfino visibile dall’oblò del relitto aereospaziale, e irraggiungibile.

Questo succede ai tre sopravvissuti della Silver Queen, vittima della collisione con una fascia d’asteroidi, la cui salvezza è limitata dalla riserva d’aria (tre giorni) e di cibo. D’acqua no, ché quella ne hanno in abbondanza, come ricordano con rabbia nel rendersi conto di avere con loro l’intera provvista idrica della nave spaziale.

E Vesta è lì, a un passo di distanza e, al contempo, lontanissimo per chi è rimasto privo di propulsori, di una spinta in grado di far staccare il relitto dall’asteroide, attorno cui ha cominciato a orbitare.

Naufragio al largo di Vesta Asimov
Ecco qua Vesta, in tutta la sua bellezza.

Nel suo racconto d’esordio, il giovane Isaac Asimov, all’epoca appena diciottenne, mostra già un talento straordinario e quegli elementi caratteristici della sua scrittura. Naufragio al largo di Vesta, pubblicato per la prima volta sulla rivista Amazing Stories nel numero di marzo del 1938, è il primo seme piantato della futura, prolifica, produzione dell’autore (che, per sua stessa ammissione nelle note introduttive al volume Il meglio di Asimov del 1973, ammonta fino a quell’anno a 2.000.000 di parole di fantascienza).

Asimov
Indovinate chi ha pubblicato una nuova edizione di “Il meglio di Asimov”?

Nel testo, si riconosce già la scrittura fresca e lineare di Asimov, la sua acuta abilità di narratore delle emozioni umani e la capacità evocativa di luoghi sognanti. Forse, ancora un po’ troppo utopici e incantati per l’Isaac Asimov che i lettori conosceranno successivamente, molto più ancorato a una resa scientificamente plausibile dei luoghi e assai più abile miscelatore d’emozioni umane.

Qua, è ben visibile la giovinezza dell’autore, il percepire gli avventurieri spaziali come eroi senza macchia e il rinchiuderli in determinati stereotipi narrativi: Mark Brandon incarna a pieno il ruolo del disfattista, Mike Sea dell’aiutante, mentre Warren Moore è l’eroe capace di mantenersi freddo anche nella situazione più disperata. Una semplificazione che di rado si incontrerà nei personaggi successivi, molto più eclettici e reali (basta pensare a Susan Calvin e il suo sviluppo, racconto dopo racconto).

Sì, è il centenario. Se volete leggere qualcosa in più su Asimov potete cominciare da qui

Ciò nonostante, c’è grandezza in Naufragio al largo di Vesta. E questa grandezza è lo spazio, un mare vuoto, privo di onde e immerso nel nulla, assai più meraviglioso e terribile della sua controparte idrica terrestre. Già dal suo esordio, Asimov cede al richiamo che l’Universo e gli astri esercitano sulla sua persona e permette ai suoi lettori di avvicinarsi a quel mondo così lontano e impalpabile attraverso immagini evocative ed efficaci.

Non solo, la grandezza sta anche nella forza motrice della storia – e della narrazione di Asimov: il racconto s’incentra sulla mancanza della spinta necessaria a staccarsi da un’orbita gravitazionale e raggiungere la salvezza. In questo è ben evidente uno dei futuri temi della produzione asimoviana: il bisogno dell’uomo di guardare avanti, di non restare ancorati alle vecchie tradizioni e abitudini ma, con l’utilizzo dell’ingegno, dell’acume e dell’intelletto, proiettarsi in avanti.

Naufragio al largo di Vesta è il banco di prova di Asimov

È questa la forza di Naufragio al largo di Vesta: il proporre con il candore di un diciottenne temi forti che esulino dalla semplice avventura spaziale e il mostrare, con un’abilità narrativa che lascia intravedere un futuro professionista del mestiere, come la mente e l’intelligenza umana siano il vero punto di forza della nostra specie, l’unico modo per continuare a lanciarci sempre nell’ignoto, a rischiare oltre le barriere dell’incertezza. Anche, e soprattutto, in caduta libera verso il successivo punto di partenza.