Vi è mai capitato di trovarvi di fronte a qualcosa di talmente bello da restare incantati? Cadere in una sottospecie di Sindrome di Stendhal e non riuscire a riprendersi? Provare, di fronte a quel “qualcosa” la sensazione del senso del sublime romantico? Il terrore, lo spavento e la meraviglia davanti all’enormità di ciò che vi circonda?

A me sì. E ricordo con esattezza tutte le volte che è accaduto. La prima, avevo sei anni, avevo finito di leggere Io, robot di Isaac Asimov e sono scoppiata a piangere di fronte alla grandezza di quei racconti. Non sono il suo capolavoro, non sono il libro più bello che ha scritto, ma fu il suo primo libro che lessi e fui scossa dalla sua bravura. In quel momento, mi sentii completamente insignificante rispetto all’esistenza stessa della raccolta.

La seconda volta avevo sedici anni. Ero in Olanda, in gita scolastica, e li vidi, i Girasoli di Van Gogh. Quel quadro che non so perché mi affascinava sin dall’infanzia. Li vidi e piansi, immobile, con lo sguardo fisso nel rimirare la tela. Piansi senza accorgermene, solo perché erano belli. Ed ecco di nuovo la sensazione di inutilità, della mancanza di senso dell’esistenza, del non essere degni di vivere in un mondo così meraviglioso da ospitare quello.

La terza volta è più recente. Una settimana fa, al massimo. Ieri, l’ultimissima volta, quando ho chiuso l’ultima pagina de Il Portale degli Obelischi di N.K. Jemisin (Oscar Mondadori).

Ora mi fermo. Aspetto un secondo e prendo fiato. Cerco di far ordine in un turbine di pensieri e contemplo quello che la trilogia La Terra spezzata sta facendo. Perché, lettori miei, stiamo assistendo a una rivoluzione.

Un incipit perfetto

Cominciamo dalla fine del mondo, perché no? Chiudiamo la questione e passiamo ad argomenti più interessanti.

La Quinta Stagione, Prologo, pag. 15

Non ho fatto in tempo ad aprire La Quinta Stagione, che sono rimasta folgorata. In tanti anni (ben ventinove) da lettrice e un po’ di meno da editor e scrittrice, mai mi ero trovata di fronte a qualcosa di così bello.

L’incipt che apre l’incredibile trilogia di N.K. Jemisin è perfetto, perché comincia con una fine. In sé, racchiude il senso dell’intera opera, in qualche modo è addirittura uno spoiler, perché anticipa già la chiave di lettura di tutto il testo: niente rimane immobile.

Neanche l’Immoto, il continente dove si riversa la furia di Padre Terra, rabbioso con l’umanità per la perdita di suo figlio e dove periodicamente avviene una Quinta stagione, a cui le varie comunità cercano di sopravvivere. Pena: l’estinzione.

Ad aiutare le com a restare a galla, gli orogeni, persone in grado di rilevare e manipolare le faglie e le placche tettoniche.

Una trama frastagliata

Se l’incipit è grandioso, la storia è mobile. Le vicende s’intersecano con una maestria unica e intervallano periodi temporali completamente distorti. Il sovrapporsi dei punti di vista, di passato, presente e futuro, e una narrazione quasi completamente gestita in seconda persona (che poi, quale pazzo scrive in seconda persona e riesce a non sembrare un idiota? Be’, N.K. Jemisin ci riesce), creano faglie in cui s’inserisce l’evoluzione di personaggi realistici e crudi.

N.K. Jemisin non cerca di farti amare i suoi personaggi, né di farli comprendere. Rende, solo, partecipe il lettore della loro umanità. Da Jija, a Essun, a Nassun, a Schaffa, ad Alabaster (quanto lo amo)… tutti sono crogioli di difetti, antipatici, crudeli, ma anche drammaticamente veri.

In La Terra Spezzata non esiste il bianco o il nero: c’è solo il grigio, come la cenere che cade dal cielo durante una Stagione.

Il Portale degli Obelischi: l’assestamento

Se La Quinta Stagione è la brutale scossa di terremoto che lascia confusi, barcollanti e spaesati, Il Portale degli Obelischi rappresenta la scossa d’assestamento.

I personaggi principali sono delineati, non resta che seguirne le vicende, sperando che N.K. Jemisin non ti “truffi” di nuovo con lo stesso colpo di scena (perché sì, è talmente brava che ti frega una seconda volta con lo stesso trucco, e tu ci resti allibita come alla prima). Non lo fa. Se si ripete, è volontario. Nessun errore in questo. D’altronde, tre Premi Hugo di fila non si vincono per sport.

Così Il Portale degli Obelischi è un leggero assestamento. La terra brontola, ogni tanto trema, ma è la cenere delle eruzioni che sconvolgono il pianeta a fare da padrona. Con la sua cappa, copre l’Immoto e con lui il lettore, che si immerge nel soffocante geode di Castrima, o nelle vicende della piccola Nassun, o si lascia affondare negli obelischi d’onice, di granito, d’alabastro e di zaffiro come se fossero pietra liquida.

In ogni caso, la sensazione claustrofobica permane, accompagnata dal senso d’urgenza dovuto al bisogno di sopravvivere. Non si gioca qui, c’è l’estinzione in ballo. E mentre molti punti in sospeso da La Quinta Stagione si chiarificano, o sembrano aver trovato un senso, Padre Terra continua a brontolare e ti soffoca, ti stringe, ti apre altre faglie che inondano la mente di punti interrogativi. Chi sono i mangiapietra? Come funzionano gli obelischi? E, soprattutto: perché?

Mi duole dirlo, al “perché” non c’è risposta. Non sono fornite soluzioni facili, intuizioni rapide, semplicemente perché… be’, perché anche i personaggi brancolano nel buio e tu, lettore, puoi solo procedere a tentoni, usando i frammenti di litodottrina riportati alla fine dei vari capitoli.

Perché N.K. Jemisin non è solo brava, ma è anche un po’ stronza e sa come tenerti in sospeso.

N.K. Jemisin e il debito di lacrime

Torniamo al punto di partenza. Torniamo alle lacrime, al senso del sublime. Scomodiamo Leopardi, se vogliamo, o chi per lui.

Si piange, con questo libro. Con Il Portale degli Obelischi più che con La Quinta Stagione. A essere spezzata, non è solo la Terra o la protagonista, ma anche tu, lettore incauto.

Perché N.K. Jemisin ti spezza, ti frantuma. Non c’è che dire, la vera orogena è lei e nessun’altra. Il dolore è tanto, perché è tutto troppo bello.

Non c’è nulla che non funzioni: dai personaggi, alla trama, all’ambientazione… perfino ciò che è narrativamente sbagliato (il maiuscolo per l’urlato, le parole sparse, spezzate da punti fermi, frasi incomplete…), dilettantesco, con lei è giusto.

E rivoluzionario, perché esula da tutta la fantascienza classica. Esula da Asimov e la rivoluzione Campbelliana, esula dal punto di svolta di Ursula Le Guinn, esula da qualsiasi cosa abbiate letto finora.

La Terra Spezzata non racconta solo una bella storia, ma prende a larghe mani dal meglio del fantasy, della fantascienza e del post-apocalittico e lo miscela, lo fonde a temperature in grado di sciogliere la roccia e lo restituisce rinnovato.

La fantascienza femminile di N.K. Jemisin

Ma, soprattutto, N.K. Jemisin reinventa una fantascienza femminile, antirazzista e umana, in un genere di cui i grandi portano nomi prevalentemente maschili. Lei è donna, è afroamericana, ha vinto tre Hugo consecutivi (mai avvenuto nella storia del premio). Le sue protagoniste sono donne e, guarda che strano, il libro piace anche agli uomini.

Da questo, non ci si può esimere: il futuro ecologista, apocalittico, rivoluzionario della fantascienza è femmina.

Sì, anche se Padre Terra è maschio.