Mia odia trascorrere le estati a Dolina. Soprattutto, Mia odia che sua madre – rinomata pediatra – a Dolina continui a lavorare invece di trascorrere il tempo con lei e riempire la voragine tra loro. Una voragine che è molto simile a quella gigantesca che si trova vicino al paese, da cui tutti si tengono alla larga perché risucchia tutto: rifiuti, alberi, terreno, persone…

Mia e la voragine, opera d’esordio di Diana Ligorio per TerraRossa Edizioni, è un’opera favolistica sulla lontananza, fisica ed emotiva, che intercorre tra le persone, anche tra gli affetti più cari.

Mia e la voragine: antologia del vuoto

Attraverso gli occhi di Mia, i lettori vengono a conoscenza del suo rapporto con la madre che, dopo la morte del marito, ha cercato di colmare il proprio vuoto personale attraverso un ligio stacanovismo. Mia, bambina sulla soglia dell’adolescenza, è lasciata a sé stessa e alla disgrazia di essere la “figlia della dottoressa Balestra”. Un’entità dipendente dalla madre, un suo prolungamento. Tra di loro, si spalanca la voragine del lutto e, con esso, un silenzio su cui oscillano in precario equilibrio.

Non parlare di papà era parlare di papà e io potevo capire se ci dondolavamo sull’ultima cosa che restava, ci dondolavamo e dicevamo senza dirlo che non ce l’eravamo dimenticato. Poi però col tempo mi è sembrato un po’ una fregatura questo silenzio in cui noi ci stavamo parlando. Io non sentivo più niente e non so se lei stava sentendo perché gliene dicevo spesso di tutti i colori.

Il vuoto dentro è quello generato dal silenzio e dalla distanza. Una distanza qualificabile nella dif-ferenza derridiana e nella scissione dell’altro da sé. Mia e sua madre non hanno il coraggio di affrontare il silenzio frapposto tra loro, ma mentre Mia grida sopra la frattura per avvicinarsi e discostarsi al tempo stesso dalla figura materna, in una figurativa rappresentazione della crescita in cui si ridimensiona l’adulto per affermare la propria singolarità in espansione, la dott.ssa Balestra resta immobile, incapace di percepire e di protendersi verso una figlia che le appare sempre più distante e sconosciuta nella sua nuova dimensione preadolescenziale.

Le matrioske di voragini si legano tra loro in un rimpiattino di mutismi, di insoluti: la voragine del lutto coniugale per la madre, la voragine dell’alienazione mentale della donna-sirena, la voragine della realtà per i bambini-bestia e la voragine di Mia, la più concreta, profonda, che le racchiude tutte in un vorticare di insoluti.

Abbandono del margine

Per superare il vuoto, Mia deve prima di tutto cadere. Buttarsi e lasciarsi andare, accogliere e non reprimere la voragine. Affondare nella spirale dell’ignoto è il modo in cui si affrontano lutti, crescita, difficoltà. Solo quando il legame con il conosciuto si spezza e Mia scappa dalla madre, si ritrova davvero a fare i conti con sé stessa, a guardare nel proprio abisso interiore e a trovare la sé che cerca di venire alla luce.

L’abbandono del margine, in Mia e la voragine, è la perdita del posto sicuro. Il lasciarsi alle spalle le certezze dell’infanzia e del mondo conosciuto e avventurarsi verso lidi sconosciuti, più cupi e pericolosi da affrontare, ma anche più stimolanti. Come in un classico portal fantasy, Mia attraversa il varco che la conduce al suo viaggio eroico e intraprende un’avventura che scivola sempre più su toni narrativi favolistici, sebbene sia quanto di più reale e concreto possa esserci.

Lo sporgersi di Mia dal margine, infatti, provoca una caduta nella voragine stessa che, lungi dall’essere metaforica, è concreta nella sua profondità, nella sua oscurità priva di luce e nella perigliosità dei suoi flutti. Solcando l’oceano vorticoso del fiume sotterraneo, Mia è costretta a fare i conti con le proprie capacità di sopravvivenza e sulla sua immaginazione, unico approccio alla vita reale in quel mondo da incubo.

Mia e la voragine: un esordio al ritmo dell’immaginario

L’immaginario di Mia è l’elemento interpretativo della sua realtà. Il ponte che le consente di superare gli ostacoli e di riconnettersi a sé stessa, ma anche alla madre. Diana Ligorio non si limita a descrivere una forte conflittualità generazionale con una delicatezza straordinaria, ma lo fa attraverso una scrittura evocativa, in grado di rispecchiare a pieno la voce di una bambina di undici anni, il cui mondo è ancora in bilico tra le fantasie dell’infanzia e le realtà della vita adulta. Un’infanzia, tuttavia, segnata dall’esperienza del lutto che la riporta costantemente a un abisso più reale e concreto e che la protagonista affronta attraverso il filtro caleidoscopico dell’immaginazione.

Mia e la voragine è un racconto dalle atmosfere fiabesche, morbide e avventurose; è precipitarsi in una fiaba dal retrogusto amaro della perdita della spensieratezza. Da leggere, se il futuro continua a fare paura e si ha bisogno di un viaggio per imparare ad affrontarlo.

Giulia Manzi