Memorie di un’avventuriera, di Emanuela Monti

È l’estate del 1682 quando Aphra Behn, insieme alla sua amica attrice Lady Slingsby, viene incarcerata a Londra. Non è la prima volta che si trova in una cella, ma stavolta non è a causa dei debiti: l’ultima opera teatrale della donna ha pestato i piedi di un qualche nobile, e il re ha dovuto acconsentire a confinarla.

Si dà il caso, infatti, che Aphra Behn sia una scrittrice e una drammaturga. La prima, in Inghilterra, a guadagnarsi il pane in questo modo.

Gentilissimo Signor Hoyle,

vi scrivo per conto di Aphra, che è afflitta dalla gotta alla mano destra e fatica a reggere la penna. Non so se siate già al corrente delle novità. Pare se ne parli in tutta Londra, ma voi da un pezzo disertate i teatri e i caffè, privando gli amici della vostra brillante compagnia. Dicono che un efebo dagli occhi di cerbiatto vi abbia fatto giurare amore eterno e che il vostro Hobbes si stia rivoltando nella tomba.

Si apre così Memorie di un’avventuriera, di Emanuela Monti (Il ramo e la foglia edizioni): con una lettera di Lady Slingsby a un antico amante di Aphra Behn, contenente la richiesta di intercedere per loro e farle uscire dal carcere. In poche righe è racchiuso tutto quanto: i disagi della prigione, la tormentata vita amorosa della scrittrice, la fervida vita intellettuale dell’epoca, unita ai tumulti politici, all’ipocrisia del puritanesimo, la licenziosità dei costumi dietro la patina di perbenismo. Se la vita era dura per un uomo, lo era cento volte di più per una donna.

Mi disse che le era parso perfino troppo ansioso di liquidarci. Io, invece, non fui affatto sorpresa. Non spero nulla dagli uomini, tantomeno da quelli che ho amato. A maggior ragione quando mi hanno ricambiata.

Non che questo comportasse grande empatia, da parte degli uomini, nei confronti delle donne. Certo nei circoli intellettuali ci si poteva vantare delle proprie larghe vedute, ma poi, nell’intimità delle proprie case, si ripiegava nel tradizionalismo.

Non faceva che ripetermi che la morale puritana ha guastato l’Inghilterra, che una donna degna di questo nome dovrebbe mandare al diavolo la modestia e saper essere spregiudicata come un uomo. E quando gli dimostrai di saper essere audace come un uomo e anche di più, principiò ad averne paura. Lo infastidiva che lo abbracciassi in pubblico o che si sapesse in giro che trascorrevamo le notti insieme.

È impossibile leggere Memorie di un’avventuriera, e soprattutto le riflessioni di Aphra Behn sugli uomini della sua vita, senza riconoscere le nostre esperienze. Questo lo rende un romanzo, per quanto non anacronistico, carico di valori e osservazioni senza tempo.

Tutti gli uomini di Memorie di un’avventuriera

Tutti gli uomini di Aphra Behn sono “tipi” che conosciamo molto bene. Non stereotipati, ma realistici: il cinico, intellettuale e disincantato Hoyle. Il giovane e superficiale Boys. L’idealista ma pusillanime Scot. Il tormentato Strangford. Il disgustoso, taccagno Behn, l’uomo con cui Aphra (al tempo Johnson) ha dovuto sposarsi per assicurarsi un minimo di autonomia, prima come moglie e in seguito – grazie a un’epidemia di peste – come vedova.

Neppure mio padre, quando cominciai a diventare una donna, mostrò per me la benevolenza che lo aveva spinto a lodare le ridicole poesie della mia infanzia e l’idea che nel mondo i poeti non fossero mai abbastanza preferiva tenerla per sé o forse l’abbandonò del tutto.

L’intrepida Aphra non era fatta per essere una moglie e una madre, o quantomeno, non era fatta per rinchiudersi nelle stanze del focolare domestico a discapito della sua arte. Questo le è stato chiaro fin dall’inizio, nella sua infanzia passata a rifuggire le attività femminili, quali il cucito, in favore di vivere avventure.

«Aphra, non stare sul ponte. È pericoloso. Un’onda più violenta delle altre potrebbe trascinarti in mare». Ma io non ascoltavo. Volevo vivere, anche a costo di morire.

E Aphra Behn ha vissuto delle avventure. È stata nel Nuovo Mondo, grazie al lavoro di suo padre e a un temporaneo trasferimento dell’intera famiglia. Ha esplorato luoghi esotici, ha conosciuto degli indigeni d’America, laddove la madre e la sorella si confinavano in casa preda del terrore. Ha lavorato, più e più volte, come spia e doppiogiochista nell’eterno braccio di ferro fra repubblicani e monarchici, intessendo amicizie e relazioni dall’una e dall’altra parte, senza mai perdere il sangue freddo.

Avevo più fegato di molti uomini che avevo conosciuto.

Non mi ero messa a tremare o a pregare durante i fortunali sull’oceano. Né, in seguito, avrei avuto paura a incontrare William Scot, pur sapendo che non rischiavo meno di lui, mentre la carrozza ci portava fuori da Anversa. Nei suoi occhi, che scrutavano tra i filari di pioppi alla ricerca delle sagome dei sicari appostati tra gli alberi, brillava il terrore di un animale braccato. Nei miei, la sorpresa di scoprirlo tanto pusillanime.

Soprattutto Aphra Behn ha scritto. È riuscita a farsi un nome nel panorama teatrale inglese, in mezzo a uomini che la osteggiavano, che l’accusavano di licenziosità. Pagati poco e costretti alla produzione costante, i drammaturghi e commediografi inglesi avevano una vita dura; erano lontani i tempi d’oro di Shakespeare! In questo panorama di crisi (politica, artistica, dei valori) in cui possiamo ben riconoscerci, Aphra Behn cerca comunque di scavarsi una nicchia e di realizzare il suo sogno. Scrivere. E se il prezzo della propria autonomia – il prezzo della propria stessa sopravvivenza – è sposarsi, o diventare l’amante di qualcuno, lei lo ha pagato: senza raccontarsi storie, senza giustificarsi, senza piangersi addosso.

Come tutti gli artisti, anche lei ha un’indole romantica e anela l’amore, ma questo non la rende irrazionale; la voce di Aphra Behn, che si dipana nella narrazione tramite racconti in prima persona a Lady Slingsby, lettere e diari, è una delle più disincantate che avrete la fortuna di leggere. Aphra Behn è una donna di enorme intelligenza e acume, che però non rinuncia ad amare, a vivere fino in fondo ogni sentimento con un’intensità commovente, a sognare.

Del resto, per essere una donna nel Seicento e pensare di guadagnarti da vivere scrivendo, sognatrice lo devi proprio essere.

Ma quanto a darti denaro, purtroppo, non se ne parla. Noi donne dipendiamo completamente dagli uomini. Prima dal padre o dai fratelli, poi dai mariti. Ogni tipo di carriera ci è preclusa.

Vi si dice fra l’altro che il nuovo sé di una donna, dopo il matrimonio, diventa il suo superiore, il suo compagno, il suo padrone. Non siamo nulla dopo il matrimonio, ma siamo ancora meno senza il matrimonio.

Un romanzo breve e dinamico

Memorie di un’avventuriera è un romanzo breve e dinamico che ripercorre la vita di Aphra Behn, dalla sua infanzia fino alla sua morte, immergendosi – con le necessarie licenze d’artista – nella mente della scrittrice per renderci partecipi delle sue riflessioni, dei suoi valori, dei suoi sentimenti. Si è presentato come un romanzo femminista, e femminista lo è per davvero, nel suo disincanto che però non scivola nel cinismo, nel presentare una donna di animo forte ma con le sue fragilità, un essere umano a tutto tondo e non un ideale irraggiungibile. L’energia di Aphra Behn, la sua forte presenza narrativa, la sua indole avventurosa non ci raggiungono a discapito della sua capacità di amare e del suo desiderio di essere amata.

Questo rende Aphra Behn una persona vicina a noi, in cui è facile identificarsi, grazie anche a un’apertura mentale che la rende estremamente moderna.

La colpa più grave agli occhi del mondo. Non la disonestà, l’ipocrisia, l’avidità, ma l’incapacità di adeguarsi alle convenzioni, l’audacia di fare delle scelte controcorrente, non importa se dettate da purezza di sentimenti e intenti, è quello che la gente giudica davvero imperdonabile.

La prosa scorre fluida, a eccezione di qualche costrutto ripetuto con troppa insistenza e nello spazio di poche pagine, che forse voleva essere un ritornello utile a mettere in luce un pensiero ossessivo nella mente della protagonista. Alla fine della lettura ci si sente più ricchi, come se, insieme ad Aphra, avessimo anche noi affrontato mille avventure. Leggere della vita della drammaturga non può che farci anelare il suo coraggio, sentimento condiviso anche da Virginia Woolf, citata alla fine di Memorie di un’avventuriera:

Faticando moltissimo, riuscì a guadagnare abbastanza per vivere… E tutte le donne insieme dovrebbero cospargere di fiori la tomba di Aphra Behn… perché fu lei a guadagnarci il diritto di pensare ciò che ci pare…

Questa frase racchiude tutto ciò che c’è da dire al riguardo.

Maria Giulia Taccori