Ci sono maree e maree: alcune quiete e confortanti nel loro succedersi, altre più violente e scomposte. E le maree smuovono acque e fondali, scoprendo e celando alternativamente segreti e umori di ogni genere. Poi, c’è quella marea che cambia tutto, che scoperchia il vaso di Pandora. E quella, è una marea tossica, come i movimenti che si attuano nel romanzo d’esordio di Chen Qiufan.
Marea tossica non è la sua prima opera, beninteso. L’autore cinese, vincitore di ben dodici Nebula, è un prolifero autore di racconti. Tuttavia, Marea tossica è il suo primo romanzo, edito in Italia da Oscar Mondadori, e di norma non sempre gli autori di racconti riescono a padroneggiare narrazioni lunghe (e viceversa).
Be’, Chen Qiufan non riscontra questo problema. Anzi, riesce a creare un romanzo stratificato e complesso, in cui temi come l’ecoterrorismo, l’ecologia, le lotte intestine di potere, il razzismo e la perdita di umanità s’intrecciano senza esclusione di colpi. Sì, esatto: colpi. Perché Marea tossica è un continuo susseguirsi di piccole guerre di trincea: tra la gente dei rifiuti e i nativi di Silicon Isle, tra i lavoratori intossicati dai metalli pesanti e i capi clan che governano l’isola, tra l’uomo e la natura che, spolpata, si ripresenta per saldare i conti.
Al centro della vicenda che porterà Silicon Isle sull’orlo del collasso, Mimi, una ragazza dei rifiuti, i cui metalli pesanti presenti nel cervello entrano in contatto con un virus che le consentirà di ampliare la propria coscienza. Nell’insieme, è impossibile non notare i riferimenti a Gibson e Bradbury, come anche al film Lucy e alla serie anime Evangelion. Chen Qiufan riesce, infatti, ad attingere a un patrimonio fantascientifico in bilico tra la vecchia scuola e la cultura pop, in una miscela a dir poco esplosiva.

Ma andiamo con ordine.
Marea tossica: il nichilismo dell’esistenza
Come accennato, Marea tossica è un libro stratificato. Oltre alla vicenda di base, che a dire il vero non brilla d’originalità e si colloca in quel limbo di tiepida gradevolezza, il lettore si trova a fare i conti con una domanda complessa: che futuro stiamo costruendo per le generazioni a venire?
L’interdipendenza tra le generazioni è uno dei fulcri dell’intero romanzo: i genitori sperano qualcosa per i figli, i figli cercano di andare incontro alla volontà dei genitori e di costruire qualcosa per la loro stessa prole, in un circolo vizioso che non ha fine. La risposta che proviene da Marea tossica non è rassicurante, perché – scusate il francese – consiste in: un futuro di merda, e per giunta non organica.

Ah, no.
L’esistenza stessa di Silicon Isle è un simbolo del disfacimento e della decadenza del consumismo. L’isola è il luogo dove convogliano tutti i rifiuti del globo, soprattutto quelli prostetici. L’umanità, nel tentativo di migliorare se stessa a livello di prestazioni, ha costruito una comunità sopra una montagna di rifiuti. Il povero raccoglie le scorie del ricco e anche i ricordi di quella che un tempo sembrava un’isola felice, simbolo del progresso tecnologico e di un nuovo salto in avanti dell’umanità, ora è ridotta a un mucchio d’immondizia.
In questo panorama desolato, anche le possibilità di redenzione vengono meno, per non dire s’annullano. Marea tossica è un quadro inquietante, spietato, nichilista e dissacrante del mito del progresso 2.0, atto a rammentarci che la tecnologia non ci salverà.
“Sono solo un inizio”
A “salvare” l’umanità, però, c’è un angelo. Un angelo che indossa vesti umane, una madonna incarnata nella spazzatura e col corpo di un mecha. Qui, il parallelismo con Evangelion è ancora più evidente: il corpo metallico di cui usufruisce la coscienza di Mimi, la necessità di entrarci in contatto attraverso un liquido e la natura sacrale della protagonista appaiono come precisi riferimenti all’opera di Hideaki Anno. Opera, questa, altrettanto intrisa di un misticismo in bilico tra occidente e oriente che in Marea tossica viene accentuato dalla citazione a Dante: Lasciate ogni speranza, voi ch’intrate.
Silicon Isle è l’inferno e, come tale, lo percepiscono i protagonisti e lo vivono i suoi abitanti. Ma l’inferno è prometeico: al suo interno l’uomo si rinnova, s’evolve. E attraverso la commissione tra sacro e profano, si crea un nuovo inizio.
C’è una nota di speranza nell’opera di Chen Qiufan, ma è talmente flebile che sembra non crederci troppo neanche lui. A farla da padrone sono il grottesco lovecraftiano, l’angoscia dell’esistenza, l’avidità e gli intrighi. Con occhio lucido e spietato, l’autore mostra come anche gli “inizi” vengano soffocati perché potenzialmente letali. E allora è meglio restare nello status quo e cercare di cambiare poco, ma bene, invece di attuare grossi cambiamenti.
“Le persone sono sempre convinte di giocare con le maree, ma alla fine scoprono che sono le maree a giocare con loro”
Le maree, nel romanzo di Chen Qiufan, sono più di semplici moti marini: esse rappresentano i grandi movimenti dell’umanità, le lotte tra individui, gruppi e classi sociali. Nello specifico, Marea tossica è una marea storica, proiettata in un futuro distopico (ma neanche troppo) e più vicino di quanto vogliamo ammettere. E i singoli, nella Storia, spariscono in funzione della massa. Similmente, i personaggi del romanzo sono solo pedine all’interno di un movimento più grande. Onde che s’illudono di essere oceano e di poter erodere e costruire a proprio piacimento.
L’essere umano viene fuori con tutta la meschinità e l’innocenza di cui è capace: s’illude di poter controllare tutto, di governare le maree volubili e incostanti, di calcolare ogni possibile slittamento o ondulazione. La fallibilità del processo, il crollo addirittura del divino tecnologico per conto di un’anima, mette di fronte alla tragica impotenza umana contro la Storia e le conseguenze del proprio agire.
Marea tossica è un eco-tecno-thriller, dal sapore cyberpunk con spezie sci-fi e pop, ma è soprattutto una riflessione su un futuro possibile, messa in evidenza da una capacità linguistica straordinaria e da una visione angosciante su ciò che ci aspetta, senza vie di fuga.
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