L’effetto butterfly avviene quando un evento in apparenza irrilevante, come il battito d’ali di una farfalla, distante nel tempo e nello spazio ne genera un altro più grande e catastrofico. Un effetto butterfly al contrario è quanto viene descritto nell’esordio di Anja Boato per Accento: Madama Matrioska.

Raccolta di racconti concatenati tra loro da un evento che è stato generato da un altro in precedenza, Madama Matrioska crea un circolo vizioso di situazioni e vite collegate da elementi apparentemente banali, ma che permettono loro di acquisire un senso. Nessuno tra i personaggi – completi, umani, splendidamente sbagliati, con esistenze al limite del paradosso – avrebbe completezza senza l’influenza ininfluente degli altri.

Si parla, quindi, di vite allo sbando, esistenze futili che hanno perso la speranza di un miglioramento. Che, forse, a un miglioramento non ci hanno mai davvero pensato sul serio, perché uscire dalla propria miseria è più complicato che pensare di farlo. Che, sempre forse, quel pensiero lo hanno avuto e lo hanno pure messo in pratica, ma solo finché si ha la concretezza dell’infanzia: i bambini sono molto più pragmatici degli adulti, quando si tratta di agire.

Una Madama Matrioska tira l’altra

Una vita dopo l’altra, Anja Boato descrive un caleidoscopio di personalità insolite, il cui sentimento condiviso è quello dell’illusione e dell’eccesso. Un gruppo di outsider, di emarginati, che incontrano e si allacciano ad altri come loro. E lo fa con uno stile molto ironico, dalla risata caustica e malevola di fronte alla ridicolaggine della miseria dissonante di queste vite: colloquiale, diretto, a tratti ricco di un umorismo cinico e pirandelliano.

Il romanzo per racconti, questa strana forma ibrida di cui Boato si serve per spingere il lettore a osservare, empatizzare ed entrare nell’intimità dei personaggi per lo spazio di una fotografia, permette una gestione dinamica del susseguirsi delle storie. In tal modo, è possibile sia sfruttare la brevità e l’intensità un racconto, che lo spazio avvolgente e consequenziale del romanzo, e dare origine a un insieme di eventi collegati che scorrono, dal maggiore al minore, in un gioco di scatole cinesi che porta fino a un mezzo racconto – 8 1/2, Tutti gli altri o quasi – in cui l’autrice annuncia:

ovvero altre cose che sono successe ma che in fondo non era necessario raccontare perché questo è un romanzo e i romanzi non sono come la vita vera: hanno un inizio, una fine e spesso anche uno scopo

e ci mette al corrente della falsità del gioco. Interrompe la sospensione dell’incredulità e mostra come quello che abbiamo in mano non è altro che un giocattolo, che le storie questo sono: un insieme di piccole bambole di legno, una dentro l’altra.

Giulia Manzi