Perché Lolò, il principe delle fate come Libro del Mese?

Perché no? Sarebbe la giusta risposta, ma in un mondo dove le torri di Minas Tirith si sbriciolano sotto i colpi dell’autofiction e Neverland non riceve più visitatori, troppo disincantati per pensare a un mondo dove si può non-crescere, o forse solo diventati adulti troppo in fretta, la scelta di un libro per l’infanzia come Libro del Mese dev’essere motivata.

Dunque, riflettiamoci un secondo. Ho scelto Lolò, il principe delle fate per svariati motivi:

  1. La scrittura di Magda Szabò è meravigliosa. E se già con Affresco avevo potuto apprezzare le sue abilità di narratrice, con Lolò tocchiamo il livello irraggiungibile di un libro per bambini scritto davvero, ma davvero tanto, bene. Il ché, se masticate di tecniche narrative, non è sempre scontato.
  2. Szabò non tratta il suo giovane pubblico da stupido. Cosa che, ripeto, non è affatto scontata.
  3. La storia è bella. Lolò, il principe delle fiabe trae a piene mani il suo apparato dal mito, dalle tradizioni, dal folklore. E lo fa bene.
  4. Ci vuole magia, nel mondo. Perché come afferma George R.R. Martin:

Il miglior fantasy è scritto nel linguaggio dei sogni. Vive, finché i sogni vivono, più reale della realtà… per un momento, almeno… quel lungo, magico momento prima del risveglio.

(…)

Credo che leggiamo fantasy per ritrovare i colori.

George R.R. Martin, On Fantasy

Ecco i motivi per cui Lolò, il principe delle fate, è diventato il Libro del Mese di Pretesto. Inizialmente, volevo fare una recensione con i parallelismi tra diverse favole, ma i vari livelli di lettura del libro mi hanno portata su un’altra strada.

Lolò, il principe delle fate. La storia oltre la storia.

La storia di Lolò, il principe delle fate, comincia molto prima della sua effettiva pubblicazione. Le radici del fico da cui nasce il piccolo principe fatato affondano direttamente nell’infanzia di Magda Szabò e nella voce di sua madre.

L’autrice, poi, metterà per iscritto la storia di questo mondo e dei suoi personaggi, modificandola per chiare esigenze narrative nel testo che Edizioni Anfora è pronta a presentarci. Un testo impreziosito dagli splendidi disegni di Ivett Lénárt e Réka Imre.

Lolò, il principe delle fate vede la luce negli anni ’50, in pieno Regime di Rákosi (1945-1956). Durante questo delicato periodo storico, gli intellettuali ungheresi, tra cui Szabò, non sono liberi di pubblicare opere non aderenti alla politica del regime. La censura colpisce anche la letteratura per l’infanzia e Lolò troverà uno sbocco editoriale solo negli anni ’60.

Un libro per bambini che fa paura al potere

Ma come mai un testo per l’infanzia, qual è Lolò, faceva paura al regime? La risposta sta nella potenza delle parole e della narrazione di Magda. Lolò, il principe delle fate è, difatti, un’opera di forte critica alla dittatura, all’ignoranza e alla censura. Argomenti trattati con la delicatezza adatta a un pubblico giovane, ma portanti nell’opera stessa.

Magda Szabò, come tanti autori, è rivoluzionaria nell’andare contro a una politica oppressiva attraverso i suoi scritti. E lo fa con garbo, educazione e l’uso sapiente del velo dell’illusione. La realtà, in Lolò, viene ammantata di quella stessa patina magica che, nella migliore tradizione folkloristica sulle creature fatate, cela la verità agli uomini.

Che la chiamino foschia (nella saga di Percy Jackson), nebbia (nel Ciclo di Avalon), o convertor (in Lolò), la funzione è la stessa: nascondere il magico al mondo degli uomini. Similmente, Szabò ammanta la realtà e la critica al regime con la magia di un racconto per bambini, nelle cui parole si cela la forza di mille spade.

Non per nulla, nel momento in cui firmò il contratto per la pubblicazione con Anfora, Magda stessa fu lieta di vedere nella lista dei libri scelti dalla casa editrice il suo Lolò. Per affetto, per amore di quel testo osteggiato, per vedere, finalmente, quel figlio lasciare il nido e trovare la sua strada.

E per questo noi, come lei, non possiamo che ringraziare.

Lolò, principe outsider

Il giorno dell’incoronazione come sovrano delle fate, Iris riceve un dono dall’albero di fico magico: Lolò, che viene al mondo da un frutto tagliato con un coltello di luce.

Da subito, il piccolo principe fatato si dimostra estraneo alla pacifica vita dei suoi simili. È uno spirito inquieto, annoiato, curioso e sempre alla ricerca di stimoli nuovi e avventure, che spesso finiscono con il causare problemi a Iris, combattuta tra il desiderio di comprendere meglio quel figlio così insolito e il peso della corona.

Di questa situazione se ne approfitterà il mago di corte, Aterparter. Un individuo infido e maligno, il cui desiderio di potere è secondo solo alla sua ignoranza e crudeltà.

In un susseguirsi di situazioni rocambolesche e fantastiche, il testo di Lolò tocca tutti i punti chiave della narrativa fiabesca; li rivoluziona e li trasforma in una vera e propria miniera di folklore e originalità. Questo, a partire dal protagonista: Lolò, un principe outsider con il cuore di un bambino.

Già Propp, in Morfologia della fiaba, aveva evidenziato chiaramente il canone fiabesco, a cui Lolò risponde. L’eroe subisce una proibizione (uscire dai confini del regno) a cui disattende; il cattivo esegue una investigazione e ottiene notizie sulla vittima/eroe che cerca di volgere a proprio vantaggio e procede con l’inganno. Quando la vittima cade nel tranello (Iris) a causa prima della persuasione e poi del ricatto, il cattivo ottiene un aiuto e l’eroe è chiamato a risolvere la situazione.

Nel caso di Lolò, a supportare l’eroe si affacciano una serie di comprimari a loro volta, però, vittime delle trame del crudele Aterparter. E qua, Szabò si dimostra magistrale nel trasformare i meccanismi di censura e di proibizione del pensiero indipendente.

A causa di un filtro, infatti, né il saggio depositario delle leggi, né il docente depositario della cultura, possono opporsi alla volontà di Aterparter. I primi elementi a essere privati del pensiero critico sono i rappresentati dei due poteri fondamentali alla costruzione di una società giusta: la giustizia e l’istruzione.

D’altronde, il potere – come viene spesso espresso in Lolò, il principe delle fate – si fa forte dell’ignoranza e dell’ingiustizia. Se non v’è memoria o possibilità di far valere le leggi, se l’intellettuale, il filosofo, viene privato della libertà d’espressione, la società è allo sbando e preda della violenza e dell’ignoranza stessa. Ignoranza che è la natura stessa di Aterparter, la cui cultura e potere sono solo il “prestito” del vero sapiente che, come i giusti consapevoli della propria competenza, rifugge le posizioni di potere.

L’altro elemento portante è così l’ignavia. Brill, il farmacista e vero mago del regno delle fate, nel tentativo di vivere una vita tranquilla lascia che Aterparter si appropri dei suoi meriti. Così facendo, per ignavia, consente al male di entrare nel regno e solo la consapevolezza finale porta alla decisione di riappropriarsi del ruolo che gli spetta per il bene comune.

E Lolò, in tutto questo? Lolò è l’eroe, ma al tempo stesso è l’anti-eroe della storia. Non è “buono”, ma è possessore di un alto senso di giustizia. Non è obbediente, ma intuisce qual è la strada giusta da percorrere. Inoltre, Lolò rappresenta la curiosità, il pensiero libero e il desiderio di conoscenza tipico dei filosofi, sempre alla ricerca del nuovo, del bello e del bene.

Le stesse decisioni che prende, non sono effettivamente risolutive della trama. Bensì, costituiscono l’elemento scatenante che induce gli altri personaggi all’azione e li riscuote dal torpore dell’esistenza. Lolò è eroe, antagonista e, al tempo stesso, motore aristotelico della vicenda.

Sarà, difatti, la sua decisione di diventare umano, in una catartica rinuncia alla propria essenza di fata che ha il sapore della morte e del sacrifico eroico – individuabile in vari testi di narrativa, da Le cronache di Prydain, alle più comuni fiabe per l’infanzia come La regina delle nevi, dove la piccola protagonista rinuncia a tutto per salvare il fratello, fino a Harry Potter e il suo sacrificio finale per la sconfitta di Voldermort. Perfetto epilogo di quello che lo sceneggiatore statunitense Christopher Vogler ha definito il Viaggio dell’eroe, ovvero il percorso di crescita personale dell’eroe che lo porta a maturare.

Il-viaggio-delleroe1

Il tema, ripreso dallo studioso di mitologia comparata Joseph Campbell nel suo L’Eroe dai mille volti, porta alla definizione della struttura narrativa del monomito, ovvero la struttura in comune dei diversi miti e favole dell’umanità.

Un eroe si avventura dal mondo di tutti i giorni in una regione di meraviglia sovrannaturale: lì incontra forze favolose e ottiene una vittoria decisiva. L’eroe ritorna da questa misteriosa avventura con il potere di conferire doni favolosi agli altri uomini. 

J. Campbell, L’Eroe dai mille volti

Lolò, come ogni eroe, “varca una soglia” e passa dal Mondo Ordinario (quello fatato) a quello Straordinario (quello umano), in una paradossale ed efficace inversione narrativa dei due mondi. La soglia, già varcata in maniera parziale dalla prima uscita dal mondo delle fate, viene definitivamente superata con l’immersione di Lolò nel lago del Quifinisce. La perdita della fatitudine e l’ingresso nel mondo degli umani è definitiva ed esempio dello straordinario simbolismo di Szabò. Il processo è simile a quello di un battesimo, con la stessa aura di sacralità. Lolò rinuncia all’immortalità delle fate e si fa umano e, nella sua umanità, si rapporta così alla morte, al senso del finito.

Non per nulla, il Quifinisce non è solo un confine geografico, ma un confine ideologico. Lì finisce l’immortalità, la fatitudine, la magia stessa. Lolò diviene vulnerabile e il suo Caronte per il mondo umano è lo sparviero Simone, che lo stringerà tra i suoi artigli e lo porterà oltre il Quifinisce.

La simbologia di Lolò, il principe delle fate

La scelta dell’insolito traghettatore è significativa. Lo sparviero è associato alla divinità guerriera Marte, ma è anche simbolo di vittoria, gloria e forza. Per esteso, il simbolismo associato agli uccelli rapaci comprende anche il ruolo di ponte tra il mondo reale e quello dei defunti.

Simone lo sparviero è così sia un veicolatore di morte, che di gloria. Come i migliori eroi mitici, Lolò raggiunge l’apice del suo viaggio nel sacrificio di sé e questo lo condurrà alla vittoria. La scelta dello sparviero come traghettatore è profetica.

Allo stesso modo, il fatto che Lolò sia nato da un fico. La pianta del fico è legata all’immortalità, all’abbondanza, alla fertilità e alla conoscenza, temi chiave del libro stesso, oltre che alla luce. E il fico da cui nasce Lolò viene inciso proprio con un coltello di luce. Inoltre, è una pianta considerata sacra alla dea Atena, la cui nascita dalla mente di Zeus è paragonabile a quella di Lolò dal frutto.

La nascita dal fico ritrova, inoltre, similitudini con le tradizioni favolistiche di tutto il mondo: Momotaro, il protagonista dell’omonima fiaba giapponese, nasce da una pesca; Zucca d’oro e Baccello d’argento sono i due gemelli protagonisti di una favola cinese, venuti al mondo dagli omonimi ortaggi.

Non è esente da una ricerca mitologica e simbolica la regina Iris, il cui nome, oltre all’ovvio riferimento alla dea greca Iris (messaggera degli dei e personificazione dell’arcobaleno e, quindi, collegamento tra umanità e divino), è portatore di molteplici significati che rispecchiano il carattere e il ruolo del personaggio.

L’iris è infatti legato alla fiducia, alla sincerità e alla saggezza. Non solo, rappresenta il trionfo della verità, cosa che avviene al termine del libro. Oltretutto è legato al coraggio, alla speranza e all’ammirazione, nonché all’amore eterno. Lo stesso amore romantico che la regina delle fate insegue e a cui rinuncia in un atto di sacrificio per un altro tipo d’amore: quello materno.

Il pensiero divergente e la ricerca del sé

L’intera storia di Lolò è un inno al pensiero divergente, i cui principali rappresentanti sono i pochi umani a cui è concesso accedere al regno delle fate. A loro, viene concessa la permanenza sul territorio in quanto portatori di uno sguardo libero, critico, diverso da quello degli altri umani.

Qui, è impossibile non aprire una parentesi sull’importanza che Magda Szabò dà all’affermazione del sé e alle rinunce che si compiono per compiacere le persone amate.

Gli umani, visti con lo sguardo immortale delle fate, sono descritti come dei vandali incuranti del benessere del mondo che li circonda. Tra questi, pochi sono ammessi al regno delle fate: uno scrittore e una bambina e suo zio, unici capaci di varcare la soglia del mondo fatato perché con gli occhi liberi dai pregiudizi.

Ciò nonostante, quello che accomuna questi esseri umani è il senso di solitudine e, soprattutto, l’esperienza del dolore. La sofferenza libera la mente e consente di approcciarsi così allo straordinario, oltre a scatenare in Lolò il processo di empatia.

Sarà proprio l’entrare in risonanza con queste anime sofferenti che consentirà a Lolò di avviare un processo di conoscenza e affermazione del sé. Percorso che, per il principe fatato e anche per la regina Iris, passa per il dolore. Un dolore catartico, a cui Magda Szabò sembra suggerire di affidarsi, invece di rifuggirlo. Difatti, il dolore, la sofferenza, i rimpianti e i piccoli e grandi egoismi dell’animo umano sono esenti dal processo di “oscuramento” con cui ha ammantato la realtà. Szabò permette anche al lettore giovane di immergersi nel dolore, di soffrire e di riemergere, come Lolò dal lago del Quifinisce, più forte e consapevole di non dover rinunciare mai a una parte di sé. Ricco del diritto di essere accettato e amato nella propria interezza e, sì, anche nella propria sofferenza.

Lolò, il principe delle fate è un vero e proprio inno alla coscienza, all’amore, all’intelligenza e al varcare il più spesso possibile la soglia tra il nostro Mondo Ordinario e il Mondo Straordinario che ci aspetta. Proprio lì. A un Quifinisce di distanza.