Quando il primo uomo ha contemplato il cielo e si è domandato: “Perché?” è nata la filosofia.

Questo è il principio con cui introduco il libro del mese di dicembre, l’ultimo del primo anno di Pretesto. Il che combacia con l’obiettivo del nostro lavoro: raccontare gli esordi e gli esordienti; e quale esordio migliore della nascita del pensiero critico, dell’amore per la conoscenza, e, infine, della meraviglia.

Oggi, quindi, partiamo da qui: dalla filosofia. Nello specifico dal nostro libro del mese: Lezioni di meraviglia, di Andrea Colamedici e Maura Gancitano (Edizioni Tlon), un testo che esplora con semplicità e concretezza la necessità impellente, ora più che mai, di praticare l’arte della filosofia.

Lezioni di meraviglia: l’inafferrabilità della conoscenza

Questo libro parla a chi almeno una volta nella vita si è domandato: “Perché il mondo esiste?”

Già dall’incipit, è chiaro che Lezioni di meraviglia non è un comune saggio di filosofia. Non parla della storia o del pensiero dei filosofi, non analizza le grandi questioni della vita (“Chi siamo?”, “Dove siamo?”, “Perché siamo?”). Parla, invece, dell’inquietudine filosofica, di quell’input ancestrale che spinge l’essere umano a interrogarsi sull’essere. Parte dalla scintilla che forgia le domande, senza preoccuparsi della loro natura o rilevanza. Contempla, accarezza, corteggia l’inafferrabilità della conoscenza, la sua impalpabilità di senso. Sin dalle prime pagine, in cui ci viene presentata la definizione di filosofia, è ben chiaro che il testo non darà spiegazioni, ma solo spunti di riflessione. E angoscia, e inquietudine, e terrore, perché:

Il termine filosofia (…) esprime il vivere nella condizione tragica di chi desidera la conoscenza e la sente sfuggire ogni volta. Il filosofo non è il marito o la moglie della sophia, ma lo spasimante.

La filosofia, quindi, è un orizzonte irraggiungibile verso cui l’uomo è guidato dallo spasimo, la cui radice σπάω ci riporta al «lacerare, tirare». Il filosofo è così lacerato dall’anelito di raggiungere l’orizzonte e dalla necessità primaria di vivere nel mondo.

Consapevole di tale tensione, l’uomo-filosofo ha due scelte: rinunciarvi o abbracciarla. E l’abbraccia, la stringe, in un leopardiano cammino di ricerca e di interrogazione sull’esistenza e sull’agire.

La meraviglia madre della filosofia

Il primo filosofo della storia è stato colui che si è visto gettato nel mondo e si è reso conto di trovarsi in uno spazio senza protezioni, catapultato in un ambiente enorme, potente e chiaramente ostile dal quale doveva imparare a proteggersi e nutrirsi. Doveva capire come vivere in un luogo in cui sembrava possibile soltanto morire. Nell’istante in cui tutto questo si è manifestato nella sua tremenda grandezza ha avuto inizio la meraviglia, madre della filosofia. E il filosofo ha saputo rispondere.

Quando pensiamo alla meraviglia, pensiamo a qualcosa di grande, imponente, che ci cattura per la sua bellezza o spettacolarità. La percepiamo, insomma, nellaccezione latina di mirabilia, di straordinario.

Invece, la meraviglia da cui nasce la filosofia è il thauma. La paura, l’angoscia, il terrore. E ben lo sapevano i Romantici, quando parlavano del sublime, quel senso di meraviglia – appunto – di fronte all’immensità della Natura che era generato da ammirazione e terrore.

E solo in quel momento in cui, parafrasando Leopardi, ci sovvien l’eterno siamo abbastanza colmi di meraviglia da avvertire la necessità di viverla, di dare “un volto all’orrore“. A questo modo, la meraviglia genera il pensiero filosofico, il tentativo di comprendere e spiegare la paura primordiale, insita sin dalla prima presa di coscienza della nostra specie, dell’assenza di senso del nostro esistere.

Andrea Colamedici e Maria Gancitano guidano il lettore attraverso l’esperienza del thauma, costringendolo a fare i conti con il senso di meraviglia che tutti hanno provato almeno una volta nella vita. Nel farlo, danno una nuova dimensione all’essere filosofo, non più formulatore di pensiero, ma vero e proprio discepolo della meraviglia. Se tutti abbiamo sperimentato, in maniera più o meno intensa, il thauma, il filosofo è colui che sussiste perennemente e volontariamente in tale condizione. Sospeso, ma non immobile, nel senso di meraviglia. Sempre in cerca, sempre vittima e fautore dell’anelito alla comprensione della vacuità del senso.

Lezioni di meraviglia non è un libro per tutti, ma è di sicuro un libro per cominciare a esplorare quella parte angosciata, raccolta e nascosta nella primordialità del nostro essere.

Giulia Manzi