Settembre è il mese dei ripensamenti | sul tempo e sull’età, cantava Guccini. E questo settembre mi sono concentrata su un esordio che mi ha riportata ad altre età e altre esperienze: L’educazione, di Tara Westover (Feltrinelli).

Il memoir, doloroso e sfuggente come i ricordi, è in effettiva descrivibile col verso di Guccini. Non mancano, infatti, ripensamenti sul tempo trascorso, sui ricordi andati, sulle scelte fatte e le possibilità perdute. Soprattutto, a fare da protagonista è il paradosso, secondo cui la realtà supera di gran lunga l’immaginazione.

L’educazione: il paradosso

L’educazione racconta l’infanzia di Tara, ultima di sette figli e cresciuta da una madre erborista e levatrice, Faye, e il padre che ricicla metalli, Gene.

La vita di Tara segue un rigido ritmo: tutta la famiglia è impiegata nell’accumulare benzina, provviste, armi e munizioni; beni necessari per affrontare i giorni dell’abominio prospettati dal padre. In quest’attesa distopica, non c’è spazio per l’educazione scolastica, né per quella casalinga: i ragazzi crescono nell’ignoranza e secondo le ferree regole imposte da Gene e dal suo estremismo religioso.

Questo, finché nella vita di Tara non si presenta un barlume di normalità: suo fratello Tyler va al college e sfugge a Buck Peak, alle montagne che circondano la valle come una prigione naturale. Questa “fuga” e l’ingresso nell’adolescenza, spingeranno Tara alla prima, vera, rivoluzione: quella dello studio.

Ed è qui il filo conduttore di tutto il libro: Tara, cresciuta nell’ignoranza, si dimostra una studentessa brillante, sebbene lei stessa cerchi di dimostrare il contrario. I suoi successi vengono interpretati da tutti come tali, tranne che da lei, che afferma a gran voce:

Potevo sopportare ogni forma di crudeltà, ma non la gentilezza. I complimenti erano un veleno, mi soffocavano. Volevo che il professore mi gridasse contro, lo desideravo così tanto che soffrivo di questa mancanza. La mia bruttezza doveva essere espressa. Se non lo faceva lui, avrei dovuto farlo io.

Tara cerca di soffocare il talento, per riportarsi alle origini. Studia, per rendere conto a se stessa di essere solo la figlia di suo padre: una ragazza morigerata, ubbidiente, pronta a chinare la testa. Ma lei esce dagli schemi e più studia, nella speranza di rientrarvi, più si allontana da una famiglia manipolatrice, tossica e castrante.

Così, il paradosso si configura in Tara stessa. Lei è paradossale, perché va oltre la realtà che l’ha sempre circuita e soffocata. E ne esce due volte: come essere umano e come donna, che l’estremismo religioso paterno vorrebbe moglie, madre e serva.

La scelta del dubbio

Era un gesto di misericordia. Mi stava offrendo le stesse condizioni di resa che aveva offerto a mia sorella. M’immaginai il sollievo di Audrey quando aveva capito che poteva scambiare la sua realtà – quella che condivideva con me – con quella di nostro padre. La sua gratitudine di poter pagare un prezzo così basso. Non la biasimavo per la sua scelta, ma in quel momento capii che per me sarebbe stato impossibile. Tutti i miei sforzi, tutti i miei anni di studio mi erano serviti ad avere quest’unico privilegio: poter vedere e sperimentare più verità di quelle che mi dava mio padre, e usare queste verità per imparare a pensare con la mia testa. (…) Se mi arrendevo adesso avrei perso più di una semplice discussione. Avrei perso il possesso della mia mente. Era questo il prezzo che mi si chiedeva di pagare, adesso mi era chiaro. Quello che la mia famiglia voleva allontanare da me non era un demone: ero io stessa.

L’educazione pone di continuo Tara e il lettore di fronte a delle scelte, a volte al limite del bipensiero orwelliano. Lo studio, la religione, la vita stessa sono fulcri di polarità contrapposte, in un mondo, quello di Gene, dove non esiste il grigio, ma solo l’estremo: o santo, o peccatore. O salvato, o dannato. O studioso, o pio. O obbediente, o scacciato.

In questo estremismo dovuto a un disturbo bipolare, Tara annaspa nel tentativo di mantenersi in equilibrio, finché la follia del padre non trascina con sé tutta la famiglia. Lei resta, così, l’unica assieme a Tyler a vedere la realtà di abusi e violenza di cui è stata costellata la loro vita. E sceglie: sceglie se stessa, sceglie il dubbio invece delle ferree certezze del padre. Ed è proprio la scelta dell’indefinito, dell’ignoto, che conduce Tara alla più grande verità di tutte: lei è. È altro rispetto alla sua famiglia. È altro rispetto alla se stessa adolescente. È altro rispetto al padre e alla madre. Non è più un’estensione del loro corpo e del loro pensiero, ma è. E in questo esserci, Tara comincia finalmente a esistere.

L’educazione non è quindi solo la scuola, ma uno sviluppo del pensiero critico, della capacità di analisi, della possibilità di scegliere chi essere e come essere. Come specifica l’autrice al termine del libro:

Chiamatela trasformazione. Metamorfosi. Slealtà. Tradimento.

Io la chiamo un’educazione.

L’educazione: per concludere

L’educazione è uno di quei libri che ho faticato a iniziare e ho impiegato pochissimo tempo a finire. Dopo lo scoglio dei primi capitoli, su cui ho tentennato mesi e ho lasciato passare in sordina il loro abbandono, preferendogli altre letture, è successo il miracolo e l’ho divorato in pochissimo tempo.

Non è un libro semplice, né particolarmente avvincente. Credo appartenga a quella categoria ibrida, che alterna passaggi molto interessanti ad altri più lenti e transitori. A seconda del lettore, possono essere apprezzati i primi o i secondi (o entrambi).

Per me, lo sblocco è arrivato proprio mentre stavo per arrendermi. È stato quando la famiglia di Tara, da eccentrica, comincia a mostrare più platealmente il suo lato abusivo, quando la scuola diventa più protagonista e quando i temi hanno cominciato a toccare una realtà che ben conosco: quella della donna.

L’infanzia di Tara può apparire, difatti, come finzione. La preparazione per l’apocalisse, l’assenza di studi, l’estremismo religioso… è quasi troppo folle per crederci davvero. Però c’è un punto in cui ti accorgi che è reale, che per quanto strano, insolito, malato, quella è la verità.

Non aggiungerò altro, perché farlo è superfluo. Il mio consiglio è di lasciarsi trascinare dalle parole dell’autrice e riflettere su quanto l’educazione e l’istruzione influiscano sulla consapevolezza del sé e sulla propria emancipazione.