Gli uomini di più ampio intelletto sanno che non c’è netta distinzione tra il reale e l’irreale, che le cose appaiono come sembrano solo in virtù dei delicati strumenti fisici e mentali attraverso cui le percepiamo; ma il prosaico materialismo della maggioranza condanna come follia i lampi di visione che a volte squarciano il velo dell’ottica comune e del più ovvio empirismo.
La tomba, H.P. Lovecraft
Se si può affermare qualcosa di certo sul “solitario di Providence”, è che la sua personalità apparteneva agli inquieti, agli scrutatori del mondo e delle sue brutture. Uno di quegli uomini di “più ampio intelletto” tristemente consapevoli di quanto sia sottile la linea di demarcazione tra la realtà, l’immaginazione e la follia.
Autore di una produzione letteraria tanto vasta, quanto incredibile, divisa da alcuni critici in tre categorie (storie macabre; storie oniriche; ciclo di Cthulhu), H.P. Lovecraft comincia a scrivere prestissimo, ma la sua prima opera matura è La tomba, ripubblicata da Oscar Vault nell’antologia Il Necronomicon.
La tomba: un esordio a portata di bara
Jervas Dudley ha dieci anni quando scopre il mausoleo della famiglia Hyde, su cui circolano voci oscure. Affascinato dalle tombe celate dietro il lucchetto, una volta adulto lo forza e riesce a varcare la soglia desiderata.
Jervas entra in contatto così con forze sovrannaturali, si trova coinvolto in banchetti spiritici e in convitti con i fantasmi della famiglia maledetta, fino a vaticinare il desiderio di essere seppellito lì, con gli Hyde. La sua ossessione, tuttavia, sembra esser frutto solo della sua mente, almeno fino al ritrovamento di un inquietante ritratto recante le iniziali J.H.
Il racconto La tomba, la cui prima stesura risale al 1917, ma che sarà pubblicato solo nel 1922, racchiude in germe le tematiche weird tipiche del Solitario: il rapporto quasi bramoso con la morte, la follia, l’assenza di descrizioni particolareggiate delle entità che si presentano agli occhi del protagonista, il senso di incredulità di un sistema sociale razionalizzante di fronte all’ignoto e il fascino per il macabro e l’incomprensibile.
Non sono ancora presenti i mostri che hanno reso Lovecraft famoso, che vedono la loro origine in Dagon contemporaneo a La tomba (sebbene Dagon faccia riferimento aperto ai culti mesopotamici e solo successivamente l’autore darà vita a una mitologia autoctona), ma rappresenta in ogni caso il punto di partenza dello stile che caratterizzerà l’opera magna del Solitario. In nuce possiamo osservare, non solo le tematiche, ma anche l’evoluzione di un autore che ha segnato per sempre il campo della letteratura weird.
L’elemento più importante è senza dubbio la fragilità della mente umana, troppo fragile per sopportare il peso di una conoscenza assoluta dell’ignoto. Jervas è provato dalle sue stesse esperienze sovrannaturali, sospeso tra la follia e la consapevolezza tragica del non essere effettivamente pazzo. Primo oltrepassatore dei confini della realtà, di questa è anche vittima nel momento in cui si scontra con il “senso comune”. Il reale imbriglia le sue fantasie, le ammortizza, le cataloga in un plastico disturbo nevrotico ai confini dello schizofrenico.
Raccontarsi ne La tomba
Non si può non notare una somiglianza tra la vita di Jervas Dudley con la biografia di Lovecraft: affetto sin da bambino da nevrosi, ha la stessa età del suo protagonista quando cade preda dei primi esaurimenti nervosi che lo accompagneranno per tutta la vita. Il suo mondo, come quello di Jervas, diviene così quello dell’immaginario fantastico di Verne, Poe, Wells e delle favole dei fratelli Grimm e de Le mille e una notte, opere da cui trarrà ispirazione per il Necronomicon, il libro fittizio scritto dall’arabo pazzo Abdul Alhazred.
La tomba diviene così un modo per raccontarsi, per scrutare nelle proprie ombre. E diventa anche il marchio del suo stile: un lungo monologo post-traumatico che costituirà il nucleo centrale della maggior parte delle sue opere, spesso narrate in forma diaristica, di memoriale, epistolare, o di monologo stesso.
Il valore di La tomba
A puro livello di valore letterario, La tomba non costituisce il migliore dei racconti lovecraftiani. Acerbo, gestito non in maniera ottimale (la maggior parte del racconto è piena di accurate descrizioni della boscaglia, mentre la parte orrorifica è limitata alle battute finali, il che tende ad attenuare la tensione presente nel testo), risulta comunque un’ottimo punto di partenza per rendersi conto dello sviluppo delle capacità narrative di Lovecraft, specie alla luce degli altri racconti contenuti nell’antologia proposta da Oscar Vault, come La dichiarazione di Randolph Carter (del 1919) o I gatti di Ulthar (1920), o ancora I topi nel muro (1923).
Di certo, vi si possono rintracciare gli elementi costituitivi di ogni racconto e romanzo lovecraftiano: sogno, mito e terrore si miscelano tra loro in una ricetta ancora da perfezionare, che darà però vita a una meravigliosa mitologia che ancora oggi riesce a coinvolgere appassionati di tutto il mondo.
Giulia Manzi
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