Come può l’amore tramutarsi in odio? Cosa resta, alla fine del percorso di un uomo? Tristan Garcia, nel suo esordio La parte migliore degli uomini (NN Editore), esplora attraverso gli occhi della giornalista Elizabeth le vite dei suoi tre uomini: il suo amante Jean-Michel, filosofo, Dominique, attivista per i diritti omosessuali, e William, l’emblema controverso della contemporaneità.

La difficoltà maggiore nel parlare de La parte migliore degli uomini sta nella forza che questo libro emana. Come un turbine, trascina il lettore in un viaggio negli anni ’80, all’interno dell’emergente comunità gay francese. La Grande Gioia, dove amarsi era una rivoluzione, un atto politico…

L’amore è un atto politico

Cazzo, tutto era pieno di gioia. E in più, lo dicevamo, tutto era politico. […] Scopavi, ed era una questione politica. Baciavi un tizio, ed era la Rivoluzione d’ottobre. Era una cosa individuale, privata, ma dato che eravamo gay, il privato diventava pubblico […] Trombavamo, ci amavamo, anche, ed era più politico di un’assemblea.

Ricorda Dominique, raccontandosi all’amica. Ma nella frenesia degli anni d’oro, ecco stendersi l’ombra dell’AIDS. Da lì, i primi movimenti, le prime lotte alla prevenzione e lo scontro crudele, tra due persone che si erano tanto amate e che si schierano su fronti opposti.

William è pronto a distruggere tutto ciò che Dominique ha costruito, partendo dalle fondamenta di Stand, il gruppo pro-prevenzione. Proponendo la diffusione dell’AIDS come uno stimolo, una roulette russa con la morte per dare un senso alla vita, attacca l’ex amante su vari fronti, desiderando solo vederlo rovinato, finito. Armato della logica schiacciante del: “Siamo tutti già morti”, William intraprende una vita sregolata, contraddittoria e ben lontana dalla ricerca di salvezza, sicurezza e incentrata sull’altruismo perbenista di Dominique.

La banderuola dei sentimenti

Nel dibattito, la presenza di Jean-Michel, ora contro, ora a favore degli elementi della diatriba, ma sempre in precario equilibrio per riallacciarsi alle proprie origini, in un curioso riconoscere il padre in sé e desiderare edipicamente di essere il padre. Banderuola nella vita politica, quanto nella privata, Jean-Michel trova costante rifugio tra le braccia di Liz, pronta ora ad accogliere, ora a confortare, mai a respingere, tutti gli uomini della sua vita.

E Liz, Elizabeth, voce narrante della storia, è anche il porto sicuro di questi uomini spaesati, immersi nella loro epoca e nei loro bisogni, in conflitto con la vita, con la morte, con l’amore e con la malattia che li affligge. Da lei tutti si recano perché sanno che non verranno respinti: Jean-Michel come amante, Dominique come amico e William come figlio.

Qual è la parte migliore degli uomini? Quella che portano con sé, o quello che lasciano di sé?

In La parte migliore degli uomini le vicende rocambolesche assumono valore di cronaca, storica ed emotiva, di una generazione che ha visto il mondo cambiare e non è riuscita a cavalcare il proprio tempo. Il sentore della fine di un’epoca è angosciante, corrosivo come la malattia che collega le vite dei personaggi, affrontata da Dominique in maniera razionale e da William con una forza distruttiva e annichilitrice.

I corpi, la loro azione prima simbolo di libertà, diventano un peso e una prigione. Il bene che viene fatto porta al male e il male conduce al bene. E la fragilità, l’umanità di questi personaggi amati dalla stessa donna, ma incapaci di ricambiare il suo affetto con lo stesso disinteresse, esplode in un cortocircuito d’emozioni.

Leggere l’esordio di Tristan Garcia è interrogarsi, pagina dopo pagina, su cos’è la vita e cosa la morte; è distruggere le proprie convinzioni, ricrearle, vederle risorgere come una fenice dalle ceneri e provare un senso di disgusto. Verso se stessi, verso l’esistenza, verso l’ingiustizia dell’amore che diviene odio e verso l’odio che conserva una parte d’amore. La parte migliore degli uomini è una centrifuga che trita e sminuzza le anime, rigurgitandole all’esterno dopo averle rese irriconoscibili. E in questo macinato di spirito, chi ha il coraggio di guardarvi dentro, potrà forse riconoscere ciò che rimarrà di sé su questa terra (azioni, parole, gesti…) o ciò che porterà con sé nell’oblio. Resta solo da chiedersi se questa è effettivamente la parte migliore di noi.