Dodici sono i passi che indicano il cammino da seguire per uscire dall’alcolismo. Dodici passi per ritrovare se stessi. Dodici i racconti intrecciati de La parola magica, di Anna Siccardi, edito da NN Editore.
L’esordio letterario della scrittrice milanese è una sottile rete di relazioni tra i personaggi: sette protagonisti, le cui vite si intrecciano con la naturalezza della vita. Alle volte si forgiano legami importanti, poi disillusi, altre ancora si sfiorano soltanto, in un lento sospiro che sa di addio.
A fungere da filo conduttore e da neutrale Parca nel dipanarsi dell’affresco, l’alcol. Fonte primigenia dei problemi, estremo risolutore, porto sicuro e nemico mortale. Non per nulla, i dodici passi che danno il tema a ogni racconto, sono gli stessi del percorso degli Alcolisti Anonimi. Ad ognuno, viene assegnata una trama; per ognuno, la forza di una parola che definisce il cammino da affrontare, come una piccola magia.
Minibar. Le vite ingovernabili e l’impotenza
Il primo personaggio che incontriamo è Leo. Alcolista, tossicodipendente, problemi con gli spacciatori… una vita giovane e devastata, Leo è l’emblema del primo dei dodici passi: abbiamo ammesso di essere impotenti di fronte all’alcol e che le nostre vite erano divenute ingovernabili.
In un hotel giapponese, Leo si risveglia ubriaco e con un ingente debito. Nel tentativo di prendere tempo per sfuggire ai suoi aguzzini, ripensa alla sua storia con Anna e da lì emerge la sua parola magica: minibar, uno strumento che, assieme alla donna amata, gli ha permesso di ritrovare un equilibrio temporaneo.
Perché per Leo, la vita è come un minibar affollato: con il vino per baciarsi e la vodka per odiarsi. E anche un’esistenza prima tra bottiglie che impongono distanze, appare più stabile mentre la terra trema.
Pietà. Il Potere più grande riporta alla ragione
Irene è in silenzio, in compagnia di una psicoterapeuta che parla poco e quando lo fa risulta antipatica. Irene sa di aver indugiato in quel bicchiere, ogni giorno e che se lo è portato dietro, l’alcol. In quella stanza dove ci sono solo lei, la psicoterapeuta e un quadro della Pietà di Enna che sembra suggellare l’attesa e il silenzio, in cui il bicchiere di bianco comincia a trasbordare, riempiendo gli spazi lasciati vuoti da un’esistenza cupa.
Ed è difficile, per Irene, rendersi conto che nessuno la salverà da quel baratro, a parte se stessa. Che l’unica parola magica è la pietà, la compassione con il suo potere salvifico e la capacità di dire “addio”, una volta per tutte.
Inventario. Affidarsi all’altro
Per Anna non è facile. Una storia d’amore finita a causa della distanza frapposta, tra sé e Leo, da innumerevoli bottiglie, una sorella gemella distaccata e un padre in prigione per truffa. In un rimestio di pacchi preparati con cura, in modo che non superino il peso consentito dalle regole penitenziarie di 5 kg, Anna si perde dietro a inventari e liste.
Il rapporto col padre si snoda così, tra visite di poche ore, un recupero della fede da parte del genitore, e pacchi inventariati e preparati con cura, in modo da avere tutto sotto controllo, in modo che non ci siano problemi, in modo da sentirsi necessari. L’inventario, la parola magica di Anna, è ciò che la mette in correlazione col genitore. I pacchi, la misura e il peso dell’amore che prova, e la paura che quell’affidarsi da parte del genitore, il senso d’attesa tra una visita e l’altra e la gioia di vedersi, svaniscano col termine della pena. Perché “affidarsi”, il dare fiducia, non può essere unilaterale, ma Anna è stata educata ad amare gli assenti, i distanti. Che sia per l’alcol o per una condanna, anche le persone diventano elementi di una lista da spuntare.
Membrana. L’inventario morale
Un becchino, un funerale di una donna, il ricordo di una madre amata… e la membrana. Una specie di sala d’attesa, di quieto limbo in cui cadono le persone in lutto.
La membrana è una consistenza dell’aria, un peso specifico che avvolge tutto. Ogni volta che entra nelle case, l’atmosfera è ovattata, i gesti più lenti, le voci sommesse… e il becchino diviene amico, fratello. La membrana funge da specchio e nell’altro si rivede se stessi, nei vivi si scorgono tratti dei defunti e si stila un bilancio d’amore, affetto e verità. Perché non ci sono bugie nella membrana, la fine livella e porta a galla l’immagine più fedele di sé. La membrana del dolore e della morte funge da placenta, da cui partorisce di nuovo i vivi, più nudi, più soli, forse un po’ più veri.
Aiuto. L’ammissione dei torti
Una seconda parola magica per Irene, uscita dall’alcolismo e da un matrimonio che è fallito per la reciproca assenza. Un’analisi lucida, cruda, della solitudine post-divorzio e l’imbarazzo degli amici, nel ritrovarsi una persona che non condivide più gli stessi interessi.
Tutto annoia, dopo una perdita. Tutto è vacuo. Tutto appare sospeso in una singolarità di patetismo. La vita è priva di bollicine, come un bicchiere vuoto.
In questa confusione emotiva, emerge la paura d’Irene. Non di restare sola, ma del branco, dell’adagiarsi nella routine della socializzazione, alla ricerca di Puglie, di mode e di coperte di polietilene dorato. Un’animazione in 3D della vita, non com’è ma come dovrebbe essere.
Assieme alla certezza della solitudine, sgorga forte e prepotente la consapevolezza del fallimento causato dal silenzio e da milioni di storie non raccontate.
Controluce. La scomparsa dei difetti
Di nuovo Anna, di nuovo Chiara. Una madre in procinto di morire e un infermiere, Armen, che entra nelle case altrui per i vivi e presta soccorso a uomini e cani terminali.
Nel mistero di un’abitazione, le due gemelle si ritrovano a squadrarsi in controluce, l’una attraverso l’altra, cogliendo differenze e somiglianze all’interno del ventre materno che diviene, ancora una volta, casa silenziosa.
Stadio. Richiesta
Leo è bambino, ama il calcio e suo padre, che è a costruire dighe in Sudamerica e gli ha promesso che al suo ritorno lo porterà allo stadio. Così sogna San Siro, tra una domestica che è l’unica che si cura di lui e una madre troppo sola e troppo giovane per non ricercare amore. Lì, in un susseguirsi di surrogati di padre, le radici di un alcolismo profondo e tormentato.
Pianeti. Il rimedio alle mancanze
Un seno indica sensualità, nutrimento, maternità. Un seno è primordialità e bisogno, erotismo e rinnovamento. Cresce, quando lasci la bambina e diventi donna; cade pendulo man mano che il corpo avvizzisce. Un seno è quello che Diana desidera, agogna. Un seno nuovo, da regalare a sé e a sua figlia, che un seno non lo avrà mai. E le protesi in silicone, come giovani pianeti, racchiudono la speranza di resuscitare un matrimonio finito nel dolore, ma anche di recuperare e rimediare a una maternità stroncata, come se la plastica potesse nutrire le lapidi.
Buio. Chiedere scusa
Chiara fa la volontaria, per fuggire alla vita e alle responsabilità di un vero lavoro. E l’amore sboccia tra lei e una persona che non la può vedere e confondere con la sorella Anna. Un amore desiderato, un amore impossibile, un amore che fa male perché per il bene reciproco deve affogare nel buio.
Addio. L’inventario definitivo
Addio chiude il percorso d’Irene, il suo cammino di addio ad alcol, matrimonio e sentimenti lasciati a macerare sotto tappeti polverosi. Un toccante percorso cominciato con la pietà, la richiesta d’aiuto e infine, la ricerca del perdono, nella consapevolezza che prima di poterlo concedere, bisogna chiedere scusa per primi. Anche a se stessi.
Sassi. Migliorare.
Carlo è alcolista, emotivo, dipendente, giocatore. Un concentrato di difetti che rosola nell’anima, scottandola e bruciandola fino all’esplosione. Fino al divorzio e alla ricerca di aiuto, di Dodici Passi che lo facciano emergere dal letamaio dell’esistenza.
Carlo ha un figlio, che ama. Un figlio per cui rimanda tutto, anche gli incontri. Un figlio che comincia ad affacciarsi all’adolescenza e a cui deve risposte, prima tra tutte: cos’è l’alcolismo.
Per lui, e con lui, giunge alla definizione finale: un’allergia dell’anima, curabile solo con il movimento di un sasso che colpisce la superficie dell’acqua, con cerchi in perenne espansione, pronti a lasciare il posto ad altri.
Soffio. Portare un messaggio
Soffio è la parabola finale di Leo. Tornato dal Giappone, ricoverato, alla ricerca di se stesso e di una voglia di vivere sempre più blanda. A fungere da faro, un opuscolo lasciato misteriosamente nella camera della clinica, con all’interno i Dodici Passi per uscire dall’alcolismo. Una sorta di strani dieci comandamenti al contrario, per aggiustare ciò che è rotto.
Dodici, due in più, perché aggiustare è più difficile che prevenire. E le relazioni, gli intrecci delle vite, sono ciò che tengono a galla. Basta non farsi sfuggire la presa per un solo soffio.
La parola magica: un libro corale
La parola magica è un libro corale, costruito a regola d’arte e con un linguaggio mai ridondante o complesso. La narrazione si apre come un vellutato sipario, i capitoli sono atti di una recita a più interpreti, la cui protagonista assoluta è la vivace umanità e il desiderio di mani strette, di baci, di rapporti.
In un momento storico e sociale in cui stringersi l’un l’altro è sempre più difficile, La parola magica diventa una lettura in grado di stimolare la voglia dell’altro, di rapporti autentici, di vita condivisa.
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