Il primo pensiero, conclusa la lettura de La casa capovolta, di Elisabetta Pierini (Hacca Edizioni, uscita il 6 maggio 2021), è andato a Pollyanna. In uno strano gioco d’associazioni, la mente si è spostata dalla piccola Eva all’iconica protagonista di Eleanor Porter.

Eppure, Pollyanna ed Eva non sembrano avere niente in comune: la prima è allegra, solare, positiva e in grado di mettere tutti a proprio agio col suo “gioco della felicità”. La giovane Eva, invece, è ombrosa, col corpo “come un uovo”, goffa e in grado solo di suscitare disagio in chi incrocia il suo cammino. La mente, è un abisso oscuro di fantasie turbolente a cui la bambina si aggrappa alla ricerca di un briciolo di felicità, quella stessa felicità che Pollyanna è in grado di evocare in chiunque e che per Eva sembra irraggiungibile.

Figlia di un padre assente e di una madre esaurita, o forse solo folle, Eva è completamente lasciata a sé stessa. Peggio che orfana, subisce sulla propria pelle le angherie di Alma, sua madre, e l’indifferenza del padre, Aldo Bentivogli. Così si rifugia in un mondo immaginario in compagnia del fratello mai nato, Lois, dell’uomo con la valigia, e della spietata bambola La Signora, sempre pronta a rimbeccarla sui suoi cattivi comportamenti.

A un primo acchito, difatti, Pollyanna ed Eva appaiono come personaggi incredibilmente distanti tra loro. Eppure, in un distorto capovolgimento, le due bambine sono lo specchio l’una dell’altra. Eva è una Pollyanna reale, distante dalle tinte rosate del romanzo di Porter, e immersa nella tragica quotidianità delle tante famiglie disfunzionali che la circondano: i Felici, la cui vita sembra rispecchiare il loro cognome ma che nasconde ombre oscure dietro l’aura di perfetta tranquillità domestica; i Grossi, con la pettegola Fabiola – moderna Perpetua – pronta a nutrirsi dell’infelicità altrui; e la propria, i Bentivogli, la cui sterilità emotiva costituisce un capovolgimento nel nome Ben – ti -vogli.

Elisabetta Pierini riesce, con una penna perturbante e misteriosa e attraverso l’occhio acuto di Eva, che tutto osserva e proietta nel suo mondo illusorio, a entrare nella morbosa quotidianità delle famiglie e sviscerare i segreti che si celano dietro le mura delle loro case.

La casa capovolta: il fascino del distorto

Ogni volta che qualcuno mi dice che ha sognato,

mi chiedo se si rende conto

che non ha mai fatto altro che sognare.

Fernando Pessoa

L’esergo de La casa capovolta è anticipatorio della dimensione in cui Elisabetta Pierini desidera far muovere il lettore: quella del sogno. Tutto il libro è un susseguirsi ininterrotto di fantasie oniriche, speranze, incubi minacciosi che si consolidano nella realtà, desideri irrealizzabili pronti a mostrare il lato oscuro nel momento in cui si concretizzano. E, protagoniste silenti di questo carosello, si affacciano le case: nuove, grandi, piccole, intonse, in rovina, statiche, mobili. Luoghi da cui fuggire o dove rifugiarsi alla bisogna; spettatrici mute delle vite dei loro abitanti e cicaleggianti pettegole nel momento in cui si scoperchiano. Le case, in La casa capovolta, lungi dall’essere un placido rifugio, assumono tinte minacciose, ostili, mutevoli. Sono prigioni in cui gli abitanti fermentano sé stessi nell’immobilità, i sensi si obnubilano e si resta invischiati in un trascinarsi passivo dell’esistenza. Le case incatenano, affascinano, e stringono in una morsa da cui è impossibile fuggire, se non attraverso il sogno.

Si procede così, passo dopo passo, a sbirciare i pastrocchi architettonici delle vite dei protagonisti che, privi dell’armonia ludica della Haus steht Kopf, capovolgono le loro esistenze e si tuffano nell’ignoto, guidati da malignità, egoismi e disattenzioni.

D’altronde: “Per poter respirare, si spinge sott’acqua un altro” e questo avviene con meticolosa costanza a ogni passaggio del libro.

L’esordio di Elisabetta Pierini, già vincitore ex aequo del Premio Calvino 2018, è un romanzo potente che tratteggia – a volte con delicatezza, altre con cinica lucidità – la vita segreta di un quartiere residenziale e la cui protagonista ha già tutte le caratteristiche di un classico.

Giulia Manzi