Ho iniziato a lavorare in un call center. Quei lavori disperati che ti vergogni a dire agli amici.

L’incipit di Il mondo deve sapere, di Michela Murgia (Einaudi) riassume lo spirito dell’intero libro: sagace, caustico e disperatamente tragicomico.

Come il lavoro di telefonista, tra un elenco dei clienti e l’altro, la promozione e la vendita a ogni costo, il rimorso dell’ingannare ingenue casalinghe che porta anche i peggiori squali a crollare per esaurimento nervoso, la logica del «se non vendi non vali» (lasciare proprio no, con buona pace di Julio Iglesias, che non avrebbe mai brillato come venditore, a meno di non venir utilizzato come slogan per una ditta d’aspirapolveri)…

Il Kirby che, finalmente, si vende da solo («Se mi lasci non vale») e la casalinga che, giustamente, risponde: «non ti sembra un po’ caro il prezzo che adesso io sto per pagare»

In un mare di venditori-squali, telefoniste disperate, team leader kapò in cui la devozione alla ditta ha superato quella verso la propria umanità e premi di produzione di dubbio gusto, Michela Murgia ci sguazza. E ci sguazza bene, tenendosi a galla grazie al proprio umorismo e alla consapevolezza che – ehi! – prima o poi quel lavoro lo lascerà e, nel frattempo, lo racconta sul proprio blog.

Il mondo deve sapere nasce su un blog. E si ride per non piangere.

È così che nasce Il mondo deve sapere: un po’ per sfida, un po’ per divertimento, un po’ per raccontare un’esperienza – quella dell’operatrice di call center per la «diabolica organizzazione Kirby» – che devi prendere per forza sul ridere, o non puoi far altro che piangere e disperarti, mentre ti chiedi se ne vale effettivamente la pena.

D’altronde, si sa: «Si lavora per vivere e non si vive per lavorare», almeno sulla carta. E il direttore della sede Kirby, BillGheiz, presso cui la protagonista è impiegata, lo ricorda spesso, spessissimo, che quello «è un lavoro che va fatto con il cuore. Se non avete cuore, fate un altro lavoro, di quelli che si possono fare con i piedi, con le mani… ma non questo».

Per fortuna, Michela/Camilla di cuore (anzi, di <3) ne ha, e molto. Perché: «ci vuole un casino di <3 per far credere alla signora che a sua cognata la dimostrazione è piaciuta talmente tanto che un altro po’ e ci chiedeva di cresimarle il primogenito». Così sbanca nel fare i contratti, prende appuntamenti su appuntamenti, sempre osservando con occhio cinico e intransigente la filosofia Kirby, il marketing estremo, la manipolazione effettuata su clienti e dipendenti, in un tragicomico affresco dell’epoca moderna, in cui il venditore è il primo a illudersi.

Ci vuole anima, perché la stai mettendo in vendita.

Già, perché la scrittura diretta e pungente di Murgia non risparmia neanche le sue colleghe nella sciagura. Tutt’altro, pone in evidenza il clima di competizione e sciacallaggio, fomentato dall’azienda, in cui si adagiano nel tentativo di trovare qualche soddisfazione alla propria vita, annullata nella miseria del precariato.

Il mondo deve sapere Hermann
La capo reparto mentre motiva le operatrici telefoniche a impegnarsi di più nella vendita.

D’altronde, verso la fine, l’autrice propone in maniera cristallina un elenco di motivazioni per cui la vendita telefonica non funziona – no, neanche su presa appuntamento – e il risultato è agghiacciante, in quanto scatena una serie di riflessioni sull’abbrutimento dell’individuo e la manipolazione sul lavoro che oggi, a quattordici anni di distanza dalla prima edizione de Il mondo deve sapere, non sembrano cambiate.

Manca del tutto un supporto di tipo relazionale. Anzi, le relazioni sane che sorgono naturalmente vengono usate contro di te, la solidarietà è penalizzata in favore della competizione […].

Il senso di assoluta precarietà del tuo stato pseudo-professionale ti sega ogni anelito di responsabilità per il domani.

La formazione al mestiere di telefucker è approssimativa […] la persona delegata alla formazione ha a sua volta un altissimo obiettivo da conseguire in appuntamenti, quindi dedica alla preparazione altrui il minimo indispensabile per non farle balbettare al telefono.

Il continuo controllo del risultato con l’imposizione degli obiettivi dall’alto deresponsabilizza la singola persona e la spinge ad atteggiamenti di tipo difensivo e all’insicurezza personale […] Ottieni solo di farmi sentire una merda.

Gli incentivi in denaro sono irrisori rispetto a quelli ideologici […] Sarebbe più motivante un fisso meno rasoterra. Se uno perde un lavoro da 230 euro lordi al mese non lo concepisce certo come una perdita inaccettabile.

Ed ecco che tra una risata sulle risposte geniali dei clienti, un aneddoto sulla capo reparto pronta a mettersi in ginocchio sui ceci in nome del santo dio Kirby, e un venditore pronto a cedere anche sua madre alla ditta, si finisce col piangere. Perché questa è la realtà di tutti i giorni di chi, al di sotto dei trentacinque anni, ha sudato per finire a vendere aspirapolveri, o contratti telefonici, o ad arrancare fino ai primi del mese, nella speranza che quel cliente – sì, proprio quel cliente che potrebbe essere ciascuno di noi – che gli ha commissionato un lavoro si ricordi di pagarlo.

Quello che Murgia descrive nel 2006 è solo il principio del nostro presente. E nonostante l’abilità dell’autrice nel fornire uno specchio degli anni passati, nel 2020 possiamo solo concludere con un: il mondo ora sa, ma non ha capito lo stesso.