Doppio esordio con Il corpo che vuoi: di Alexandra Kleeman come autrice e di Black Coffee come casa editrice, che nel 2017 scelse proprio di puntare su un’esordiente per inaugurare il suo catalogo.

Questa doppia “primizia” è ancora più importante, se si va a scavare nel testo di Kleeman: un disturbante e contorto processo di ricerca, costruzione e destrutturazione della propria identità. Esattamente il processo che avviene in una casa editrice neonata, quando comincia a definire sé stessa, a delineare un proprio cammino e la propria presenta. Lo stesso, che coinvolge ogni essere umano, costretto in continuazione a reinventarsi, a riproporsi in maniera inedita in quel guazzabuglio di esperienze che è la vita.

Da questo punto di vista, Il corpo che vuoi di Kleeman distorce del tutto il reale. Lo abbozza, tramutandolo in una pallida parodia dell’esistenza. I nomi smorzati (A, B, C), l’atemporalità di un mondo contemporaneo in cui però non sussiste internet, l’assenza di riferimenti di spazi concreti, contribuisce alla costruzione complessa dell’assenza di definizione che permea la protagonista, A, e che finisce col coinvolgere il lettore.

Il corpo che vuoi: il rapporto dissociativo con l’immagine di sé

Preoccupata dal tentativo morboso di B, la sua coinquilina, di essere identica a lei, e succube di una relazione abitudinaria con C, che continua a sussistere solo come tentativo di definire la propria presenza nel mondo, A si rivolge sempre più a un’identità pubblicitaria. I suburb – i supermercati – diventano veri luoghi da cui osservare il mondo. La pubblicità la incanta, fino a diventare un’ossessione. Il consumismo ossessivo di merendine Kandy Kake, dai colori brillanti e artificiali, diventa una dipendenza da cui la protagonista non riesce a staccarsi.

Il corpo, per A, diventa l’unità di misura di un mondo indefinito, dove perfino il corpo stesso non è presente a sé. Con questo percepisce lo spazio, il tempo e la vicinanza dei suoi affetti e non-affetti, ma allo stesso tempo la sua esistenza materica costituisce anche la sua più grande alienazione.

Il corpo di una donna non le appartiene mai davvero“, riflette lapidaria. E continua: “In quelle rare e circoscritte eccezioni in cui il mio corpo era veramente mio, non sapevo che farmene

L’impossibilità di utilizzo della propria fisicità conduce A a un processo di dissociazione che si manifesta, prima di tutto, col timore di essere sostituita da un doppio (B), poi con l’ossessione di nutrirsi solo d’arance, infine con l’ingresso nella Nuova Chiesa Cristiana dei Congiunti del Cibo, una setta convinta che l’essere non si manifesti tramite il corpo, costantemente coperto da un lenzuolo bianco, e i cui membri si nutrono esclusivamente di Kandy Kake.

Nel guardarsi allo specchio, A non si riconosce. L’immagine che proietta all’esterno è una maschera, l’interiorità fuoriesce solo grazie a un artificio. Nella propria apercerzione, A si rivolge a un mondo di immagini pubblicitarie, si crogiola nel terrore dell’omologazione e a essa si adegua e da essa si lascia trasportare in una caduta continua, vorticosa, dove la finzione è più reale della realtà stessa.

Avere fame e il rifiuto dell’altro

Il rapporto immagine/corpo si traduce, in Il corpo che vuoi, in una dipendenza dal cibo e dalla sua assenza. C’è vergogna da parte di A di mangiare in pubblico, perché significa restituire un’immagine di corporeità. Al tempo stesso, il desiderio di annullamento e di dispersione nella massa descrive la fame di identità e d’affermazione. Nel branco, nel darsi una definizione di “gruppo”, A può ritrovare in qualche modo la propria unicità.

Tuttavia, qualsiasi tentativo di saziare questa fame distorta è destinato a fallire. Avere fame non basta, se non si è in grado di dirottare il proprio appetito. Focale è l’esempio di Kitty Kat, il gatto protagonista del cartone pubblicitario delle Kandy Kake, che cerca costantemente di impadronirsi delle agognate merendine, senza mai riuscirci.

Come Kitty Kat, A insegue il proprio appetito di identità, senza riuscire a conseguirlo. La dissociazione e il surreale raggiungono il loro apice quando, nel rinunciare al cibo entrando a far parte dei Congiunti del Cibo, A può nutrirsi solo del cibo spazzatura per eccellenza: le Kandy Kake, appunto. Simbolo consumistico della propria tensione desiderante verso l’indefinito, ma anche verso la ricerca dell’altro a cui rapportarsi. Ricerca che è fittizia, perché A, pur volendo relazionarsi, rifiuta il riconoscersi nell’alterità necessario per creare dei veri legami. Ossessionata e terrorizzata dall’idea di essere “copiata” e perdere così la propria unicità e, al tempo stesso, spaventata dalla possibilità di essere sostituita nel cuore di C, A realizza la propria autoprofezia e diviene la pallida copia di sé stessa. Un fantoccio plastico la cui realtà non è altro che finzione pubblicitaria.

Il corpo che vuoi: un viaggio disturbante nella pubblicità

Alexandra Kleeman ha una scrittura tridimensionale. Le minuziose descrizioni, con coacervo di dettagli tecnici dipanati in immagini mostruose, al punto in alcune scene da stomacare il lettore, rendono a pieno la dimensione pubblicitaria del libro. Non si può non rievocare l’opera di Wallace, Infinite Jest, in cui il tempo stesso è scandito dal prodotto più in voga del momento. Da questo punto di vista, Il corpo che vuoi risponde in toto alla definizione di realismo isterico, ovvero un testo “dolorosamente accurato per il tipo di prosa esagerata e maniacale” (Zadie Smith).

Maniacali, infatti, sono i personaggi di Kleeman. La prosa è accurata, pignola fino all’eccesso, strutturale. Manca, certo, della lunghezza cronica che definisce il realismo isterico, ma compensa a pieno con una plasticità degli ambienti e una morbosità plateale della protagonista da rientrare benissimo in questo per atmosfera.

Il corpo che vuoi è un esordio complesso, che punta a evidenziare la dipendenza dal mezzo pubblicitario e come l’immagine definisca la propria corporeità. Un testo avvincente, non per stomaci delicati, capace di porre davanti alla complessità del rapporto tra realtà e finzione.

Giulia Manzi