Immaginario verde: Hortus Mirabilis
Racconti come foglie al vento
Piante infestanti, piante che curano, piante che rispettano la dicotomia del termine pharmakos: cura-veleno. Piante che si smuovono, che pensano, che infestano la memoria collettiva e perfino lo spazio. Hortus mirabilis, storie di piante immaginarie di Moscabianca Edizioni è un’antologia di rara bellezza, che spicca nel panorama editoriale come un fiore unico, misterioso, di quelli che sbocciano solo una volta e poi sfioriscono, lasciando dietro di sé un profumo stordente e la sensazione di aver assistito, per una volta, a un miracolo.
I racconti di Hortus mirabilis hanno quest’effetto alienante, come le piante in essi presentate e riprodotte dalla matita di Gabriele Operti. Ci si trova catapultati in un giardino ricco di odori, di colori, di storie pronte a solleticare l’immaginario e, con esso, anche la sua parte più oscura: il brivido dell’ignoto, la nota weird che distorce elementi familiari e innocui e li trasmuta in incubi vegetali.
Perché le piante, dopo aver letto Hortus mirabilis, sembreranno tutto, fuorché immobili.
Hortus mirabilis: un libro infestante
Nella mia mente anche tutte le piante sono infeste, e lo sono per due motivi. Primo, perché sono straordinarie specie colonizzatrici, capaci di spostarsi in modo incredibilmente efficace per raggiungere luoghi lontani (…) Secondo, perché forse ancor più degli animali e di altre forme di vita detengono un potere prodigioso: sono in grado di insediarsi nel nostro immaginario e scombinarlo, proprio come una radice spacca l’asfalto di un marciapiede e fa inciampare un pedone dopo l’altro.
Danilo Zagaria presenta così il volume antologico, evocando la natura infestante delle piante, la loro natura weird capace “di stupirci e scombinare i piani“. Una raccolta aggrovigliata, complessa, contorta come le radici che spintonano, lottano, succhiano e bramano una comunicazione pedissequa, altrettanto distorta dei fusti che si piegano alle intemperie.
Hortus mirabilis porta alla luce questa natura tutt’altro che innocua dei nostri coinquilini vegetali, mostrando come la loro vita sia molto più movimentata di quello che pensiamo. E lo fa con maestria, a volte con la delicatezza impalpabile del sogno, altre con la visione di una realtà che sfugge al Reale, altre volte ancora con la rabbia distruttrice e corrosiva, o con il disperato, bisogno di comunicazione. Altre, con la simbiosi, con la metamorfosi, con la solitudine… Ciascuno dei tredici autori mostra, sviscera e dilata fino all’esasperazione la natura della propria pianta e apre allo sguardo del lettore una visione sconvolgente sul mondo vegetale.
Parlare di umani attraverso le piante
Continuate a vedere la Symbionta come qualcosa di separato da noi, che può farci male o addirittura ucciderci, ma non è così (…) Dici che ti sembra che io sia la pianta perché è così. Lo sono.
[Memoria esterna, Beatrice La Tella]
Cosa c’è di più diverso di un mammifero e un vegetale? E se le piante fossero più simili a noi di quanto credessimo?
Il giardino immaginario di Hortus mirabilis sviscera come un aratro la terra l’interconnessione tra l’essere umano e le piante. Scava, semina e coltiva con attenzione minuziosa il tremore che attanaglia le viscere di fronte all’incontrollabile; pone, con rabbiosa dolcezza, l’accento sull’interdipendenza che collega i due mondi. E lo fa con una selezione accurata di racconti, tutti diversi, tutti meravigliosi, tutti unici, che sbocciano dalla fantasia degli autori.
Storia dopo storia, la visione finale che si ottiene è quella di un erbario moderno, una vivisezione di organismi di cui percepiamo solo uno squarcio ma che costringono a riflettere sul bisogno di dare un ordine alla natura, natura che ordine non ha. O meglio, che ha un suo ordine: scomposto, alieno, disturbante e ingestibile.
Accompagnati dal profumo delle pagine, immersi nella naturalità della carta, Hortus mirabilis sconvolge e infesta l’animo del lettore. Lancia semi di dubbio, di fantasia, che a ognuno poi spetta coltivare, nella speranza che nasca qualcosa. Meraviglia o terrore, poco importa: ciò che conta è che metta radici.
Giulia Manzi
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