Quando gli Hamburger fanno miracoli
“Ciao a tutti. Mi chiamo Daisy Fay Harper e ieri ho compiuto undici anni“. Comincia così il libro d’esordio di Fannie Flagg: Hamburger e miracoli sulle rive di Shell Beach (Rizzoli): un racconto ironico, spiritoso e al limite del paradossale, tra improbabili truffe, padri ubriaconi, concorsi di bellezza e inaspettate resurrezioni.
Fannie Flagg, nata Patricia Neal, ha raggiunto le luci della ribalta letteraria grazie a Pomodori verdi fritti al caffè di Whistle Stop, ma già dalla più tenera età scrive sceneggiature teatrali e si interessa all’arte della recitazione. La partecipazione a Miss Alabama le permette di accedere a una borsa di studio per un anno a una scuola di recitazione locale. Da quest’esperienza, prende avvio la trama del suo primo libro: Coming Attractions (rinominato Daisy Fay and the Miracle Man nella successiva edizione del 1992 e tradotto in Italia come Hamburger e miracoli sulle rive di Shell Beach), un testo pungente, dove autobiografia e immaginazione si fondono e al lettore non resta che affidarsi all’esergo della protagonista/autrice:
Quello che state per leggere mi è accaduto davvero… o forse no, non ne sono sicura. Ma non importa… perché è comunque vero.
Hamburger e miracoli sulle rive di Shell Beach
Daisy Fay Harper ha undici anni quando il padre decide di acquistare un chiosco su Shell Beach e fare soldi facili vendendo hamburger. Peccato che il padre beva troppo, che la madre decida di andarsene, che i suoi progetti per arricchirsi falliscano uno dietro l’altro. E cosa può fare, allora, Daisy Fay? Diventare Miss America per scappare a New York e studiare recitazione.
Ma prima, ce ne è di strada da fare: dal club delle debuttanti di Mrs. Dot, alle spocchiose Ragazze Arcobaleno, fino ad approdare a un piccolo teatro di provincia, dove trova chi l’aiuterà a realizzare il suo sogno, Daisy Fay annota scrupolosamente tutto sul suo diario, in una narrazione rocambolesca, sconnessa e altalenante, proprio come la vita.
Hamburger e miracoli: la leggerezza dell’essere
Hamburger e miracoli sulle rive di Shell Beach è un memoir frammentato; un collage di memorie, descrizioni, impressioni la cui coerenza è proporzionale alla maturità della protagonista. Questo, crea un po’ di difficoltà nella lettura, soprattutto all’inizio in cui ci si immerge in toto nella mente, nei pensieri e nella penna di una preadolescente ignorante, buffa e anche – perché no – un po’ antipatica e presuntuosa. Perché Daisy Fay è tutt’altro che simpatica: poco socievole, aggressiva e rozza nel comportamento, ignava ed egoista all’occorrenza, generosa con chi apprezza. Il suo candore utilitaristico fa tornare in mente un altro testo della letteratura del Novecento, in cui si afferma che i bambini sono: “innocenti, spensierati e senza cuore”.
Daisy Fay è proprio così: innocente, perché nel suo comportamento non c’è alcun tipo di malizia. Senza cuore, perché la vita le ha donato una buona dose di cinismo e indifferenza per sopravvivere a due genitori sempre in lite a causa dell’alcolismo del padre. Spensierata, perché le preoccupazioni, le ansie, i tormenti interiori sono presto superati, o esposti al lettore con un approccio all’esistenza che, a Roma, sarebbe definito con: “vivila scialla“.
Ed è così: Daisy Fay vive scialla. Niente la turba più del dovuto. Se un ostacolo si frappone sulla sua strada, lei lo osserva e poi lo aggira. Le tensioni sono presto risolte, le antipatie lasciate a ribollire sotto pelle, presenti, ma dimenticate finché l’oggetto non torna davanti ai suoi occhi.
Tra innocenza e spensieratezza, però, la scrittura immediata, caustica e un po’ frivola di Daisy Fay ci racconta del razzismo, della violenza sulle donne, di legami familiari tossici e distorti, ma anche di altruismo, amicizia e impegno nel realizzare i propri sogni. I lati più oscuri dell’America degli anni ’50 vengono filtrati dai desideri infantili prima, più maturi poi, della protagonista che, tra un hamburger e un miracolo (finto, per spillare i soldi ai creduloni, ma anche qualcuno vero) ci rende partecipi di una vita sospesa tra il perbenismo della società WASP (White Anglo-Saxon Protestant, bianca anglosassone protestante) e la forte empatia con gli emarginati: persone di colore, omosessuali, infermi.
Hamburger e pomodori: due testi a confronto
Hamburger e miracoli sulle rive di Shell Beach presenta comunque un difetto, dovuto a un narratore inaffidabile, ma anche al contesto storico di nascita: è l’emblema narrativo del “sogno americano”, dove se ti impegni, non importa quanti ostacoli la vita ti metterà davanti: raggiungerai tutti i tuoi obiettivi.
Questo principio tipico di una società della prestazione in germe, appanna il valore intrinseco del testo agli occhi del lettore contemporaneo, se non si riesce a mantenere il giusto distacco storico, soprattutto perché non presente nel lavoro successivo di Flagg: Pomodori verdi fritti al caffè di Whistle Stop, un’opera che risulta molto più matura e capace di trattare le stesse tematiche con un occhio disincantato.
Possibile causa di questo mutamento è la crescita della scrittrice (intercorrono ben sei anni tra le due pubblicazioni), ma anche il diverso tipo di narratore: in Hamburger e miracoli la voce di Daisy Fay è onnipresente (d’altronde è il suo diario) e il lettore percepisce il mondo solo attraverso questa; in Pomodori verdi fritti, ci ritroviamo con un narratore esterno, più obiettivo, eccezion fatta per i bollettini di Mrs. Weems, diretti successori dei “Parola di Dot” presenti a Shell Beach.
Di sicuro, ritroviamo in Pomodori verdi fritti al caffè di Whistle Stop, quelle tematiche tanto care alla produzione di Flagg: il razzismo, l’omosessualità, l’intransigenza machista di un’America in pieno Boom economico. Tutti argomenti affrontati in Hamburger e miracoli sulle rive di Shell Beach, che costituisce un ottimo precursore della produzione letteraria dell’autrice, con umanità e la spensieratezza tipiche di un diario d’infanzia.
Prima dell’arcobaleno
Hamburger e miracoli sulle rive di Shell Beach, in fondo, è proprio questo: un diario di una bambina che cresce, matura e realizza il primo passo verso il suo sogno. Ci si aspetta, nelle diverse scansioni temporali, che si giunga alla fine dell’arcobaleno e che Fannie Flagg ci conceda di vedere la nostra insolita protagonista realizzata, soddisfatta… un “e visse per sempre attrice e contenta”.
Invece no: il racconto termina a un passo dal sogno, proprio all’inizio dell’arcobaleno. Non vedremo mai la pentola d’oro alla fine, possiamo solo supporla: quello che viene fatto per tutto il libro è accompagnare Daisy Fay verso il suo miracolo, raggiungerlo con lei, ma non vederlo compiuto. Possiamo solo – come nei miracoli effettivi – supporre che ci sia stato, che la ragazza sia diventata attrice, che il padre abbia smesso di bere…
Eppure, un passo sull’arcobaleno possiamo farlo. Perché la vita strampalata di Daisy Fay ha molti punti in comune con quella della sua mente creatrice: entrambe si approcciano al teatro in giovane età, entrambe partecipano al concorso di Miss Alabama, entrambe hanno una serie di grandi e piccoli dettagli in comune che viene – in effettiva – da pensare che sì, forse molti di quei fatti sono realmente accaduti. O forse no. Chissà.
Dopotutto, i miracoli sono atti di fede.
Giulia Manzi
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