Distopia, fantascienza, horror… dai primi romanzi scientifici di Mary Shelley, Jules Verne e H. G. Wells, fino ai più moderni Orwell, Huxley e Dick, la letteratura ha miscelato queste caratteristiche per dar vita a una spietata critica sociale della propria contemporaneità.

In questo panorama di “grandi”, è complesso individuare autori contemporanei in grado di restituire con altrettanta lucidità la visione della società odierna, soprattutto nella forma del racconto, la cui brevità costringe lo scrittore a un’incisività puntuale e scevra di ampliamenti.

Tuttavia, è dall’epoca della creazione della rivista Amazing Stories da parte di Hugo Gernsback (teatro di esordi letterari d’autori del calibro di Isaac Asimov, Ursula K. Le Guin, Roger Zelazny) che il racconto, con le sue caratteristiche di rapida fruibilità e capacità di sintesi, si configura come veicolo ideale per l’analisi spietata e lucida del mondo contemporaneo.

È all’interno di quest’eredità classica, e in un momento in cui la formula del racconto sembra aver perso la sua forza divulgativa, che si colloca Friday Black (SUR, 2019). L’esordio di Nana Kwame Adjei-Brenyah fornisce, in dodici brani, una narrazione della società degli Stati Uniti odierni di angosciante realismo; dai suoi scritti emergono i temi scottanti del razzismo, dell’estremizzazione del consumismo, delle diseguaglianze di classe e dell’uso incontrollato delle armi da fuoco. Il tutto elevato da una scrittura immaginifica, puntuale e visionaria con rimandi a visioni fantastiche del passato e della distopia televisiva in serie come Black Mirror.

Friday Black si apre con I 5 della Finkelstein, in cui il protagonista, Emmanuel, è in grado di abbassare il proprio livello di “Nerezza” per integrarsi con la società bianca e razzista degli Stati Uniti. Il racconto, che si distacca dal resto della raccolta per il cocente realismo che accompagna le sue vicende, prende vita da due azioni di violenza specifiche: l’assoluzione di un omicida di cinque bambini di colore per “legittima difesa” e, più sottile, ma non meno evidente, l’abuso psicologico su chi appartiene a una diversa etnia da parte della società, pronta a dimostrarsi tollerante solo se la persona in questione adotta comportamenti e atteggiamenti che lo discostano dalla subcultura d’origine. In tale conformazione agli stereotipi, prende vita il conflitto interiore di Emmanuel, il cui desiderio d’integrazione si scontra con il desiderio di giustizia che dopo l’omicidio dei bambini della Finkelstein anima tutta la comunità afroamericana. I 5 della Finkelstein fornisce un quadro di cruda realtà, in cui l’angoscia della distopia è accentuata dalla plausibilità dell’evento scatenante e delle sue conseguenze.

Cose che diceva mia madre, il secondo racconto, offre al lettore un momento d’aria fresca; uno spaccato di vita di un nucleo familiare tormentato dalla povertà e dalla fame, che prende in esame le numerose considerazioni e perle di saggezza che la madre rivela al figlio. Cose che diceva mia madre è un brevissimo racconto di appena due pagine, in cui tutti sono in grado di ritrovare quei consigli e raccomandazioni genitoriali che hanno fatto parte della propria crescita, ma soprattutto il senso di colpa del non aver mai notato le piccole menzogne degli adulti per nasconderci i sacrifici e gli sforzi fatti per assicurare un futuro, o un piatto in tavola, ai propri figli. Un ritratto agrodolce di molte famiglie nascoste all’interno di uno «scatolone morente».

È con L’Era che l’autore entra nel vivo della raccolta. Il terzo racconto è una splendida distopia che s’integra in toto nella fantascienza classica, con corposi e non invadenti riferimenti a Il mondo nuovo di Aldous Huxley. Nel mondo del futuro, dopo le Guerre dell’Acqua, la maggior parte degli esseri umani viene sottoposta a un processo di perfezionamento genico prenatale, e a un lettore attento non sfugge la similitudine con la società Fordiana di Huxley, dove l’umanità viene divisa in classi a seconda del proprio livello di perfezione genetica. Nella società descritta da Nana Kwame Adjei-Brenyah, si muove il giovane Ben, un adolescente non ottimizzato che cerca di adeguarsi all’imposizione di Verità e di controllo delle emozioni comune. Per non cedere alle alterazioni emotive, Ben fa un uso eccessivo del Bene, droga somministrata a tutti per indurre uno stato di quiete e tranquillità (e anche qui, un riferimento al soma, la droga antidepressiva ed euforizzante de Il mondo nuovo). Sarà la negazione di questa e l’incontro con un’altra ragazza non ottimizzata, Leslie, a portare Ben a interrogarsi sulla felicità e sulla liceità dell’induzione artificiale di questa.

L’Era è forse uno dei racconti più forti dell’intera raccolta, in quanto integra temi come la tossicodipendenza, il classismo, la crescita e il desiderio di essere felici e accettati per se stessi e non per i dettami imposti dalla società, in una storia dalle tinte adolescenziali e delicate. Il linguaggio dell’autore è genuino, volutamente semplificato in neologismi e formule che richiamano il bi-pensiero Orwelliano, e dal crescente impatto emotivo, per condurre il lettore a un finale agrodolce che sa di speranza.

Laker Street recupera il tema del rapporto genitori-figli, elemento portante di molti racconti e già anticipato da Cose che diceva mia madre. Tuttavia, qua il legame è tra non-genitori e non-figli: il protagonista si ritrova immerso in una surreale conversazione con i feti dei suoi possibili bambini, tornati per chiedere le motivazioni della loro non-nascita. In questo percorso visionario, l’autore tocca i limiti del possibile e i dubbi e le motivazioni dei non-genitori sulla liceità della loro scelta, su come sarebbe stato e come sarà adesso. Non pago, il racconto presenta un secondo filo rosso: quello della comunicazione di coppia e dello scarico di responsabilità tra gli elementi coinvolti in scelte drastiche; è emblematico, a questo proposito, il timore espresso dal protagonista, il cui aiuto viene volutamente rifiutato dalla compagna nel momento del bisogno, di essere la causa della decisione presa in comune e il suo senso di sollievo di non dover partecipare in maniera attiva all’esperienza.

In L’ospedale dove Nana Kwame Adjei-Brenyah capovolge di nuovo la prospettiva. In esame, stavolta, il rapporto tra un figlio e il padre malato, grazie a cui il lettore viene catapultato in atmosfere horror/sovrannaturali che ricordano il Sandman di Neil Gaiman. Il protagonista, un aspirante scrittore, ha stretto un patto con un’entità, il Dio dalle Dodici Lingue, per avere la possibilità di cambiare la sua vita e quella del genitore. Con la promessa del potere di “occhi nuovi”, in grado di vedere e modificare il mondo, la sua devozione al Dio si esprime attraverso una scrittura più viva e corposa.

L’intero racconto è una riflessione sull’ambizione letteraria, sull’idea che questa possa realmente modificare tramite le parole ciò che ci circonda. Eppure, nonostante l’avviso del Dio («Non scrivere roba noiosa»), il fulcro resta il desiderio del protagonista – ma anche di tutti gli scrittori – di salire sempre più in alto, di plasmare la creazione con la sola forza delle parole, assieme alla paura di non essere mai abbastanza bravi, abbastanza espressivi, abbastanza capaci.

Solo quando il protagonista diventa consapevole del potere immaginifico delle frasi e della loro effettiva capacità di modificare il mondo, avviene la svolta. Una presa di consapevolezza della forza del pensiero e del surreale, tanto da ricordare al lettore la celebre frase di Marion Zimmer Bradley: «Con il nostro pensiero, noi creiamo giorno per giorno il mondo che ci circonda».

Se l’autore ha attinto a grandi mani dalla letteratura fantascientifica e distopica, non mancano racconti le cui principali influenze vengono dal mondo videoludico. Zimmer Land, spaccato potente e raggelante del “divertimento ad ogni costo” e sempre più estremo, affonda le sue radici in titoli storici: da Call of Duty, a Metal Gear Solid. All’interno del parco, infatti, il cliente vive un’esperienza immersiva di problem-solving, giustizia e procedure giudiziarie; dopo essere stato opportunamente stimolato dalla voce narrante («Ricordati che questa è casa tua, non sua»), deve prendere una scelta tra chiamare la polizia, affrontare il «giovanotto che sta combinando qualcosa, o che non sta combinando nulla» a mani nude, o utilizzare una pistola. L’84% di loro, sceglie l’arma da fuoco e si sente legittimata a sparare all’attore di colore che interpreta il “nemico”. Tra tute biomeccaniche di protezione, azione e l’originale punto di vista di Zay, uno degli interpreti migliori del parco, Zimmer Land porta il lettore a interrogarsi su dove comincia e dove finisce il divertimento etico e se la fame di emozioni forti non stia portando l’essere umano sull’orlo della de-umanizzazione.

Centrale, sia per posizione che per tematica, Venerdì Nero, il racconto che dà il titolo all’intero volume. In un centro commerciale americano, il più abile commesso e i suoi colleghi si preparano all’invasione del Black Friday da parte dei clienti, la cui frenesia d’acquisto gli ha «già mangiato quasi tutto il cervello» e li ha trasformati in pseudo-zombie, capaci di comunicare solo in un proto-linguaggio.

Questa metafora spiazzante dell’effetto alienante e de-umanizzante del consumismo s’incrocia con la teologia del lusso ad ogni costo e a basso prezzo; ci sono padri divorziati che devono comprare quel determinato cappotto proprio quel giorno, per sentirsi dei bravi genitori, madri che sacrificano l’intera famiglia sull’altare di un televisore a 42 pollici… In tutto Venerdì Nero, vige la logica dell’incomunicabilità, ma soprattutto dell’acquisto della felicità – perversione del concetto alla base dello shopping compulsivo: la felicità dell’acquisto. I clienti-zombie che affollano il centro commerciale sono incapaci di concepire un’esistenza senza l’oggetto che dimostri loro di essere migliori degli altri, che gli dia un nuovo posto nel mondo, ma soprattutto che rappresenta l’unità della famiglia, lo stare insieme e il recuperare un’umanità persa in una società che premia l’avere.

Lo stesso protagonista, il commesso più bravo, più capace, sempre primo, non è esente dalla dicotomia possesso/affetto. I suoi sforzi di risultare il miglior venditore, infatti, sono focalizzati verso il regalare alla madre un cappotto costoso e dimostrarle così, con la consegna del bene materiale, di volerle bene. È però di fronte al rischio di morte di una collega e al sacrificio che si svela la chiave di lettura di Venerdì Nero: in un mondo all’insegna del consumismo, di legami e valori sfilacciati, l’altruismo e la rinuncia sono l’unico mezzo per recuperare se stessi.

Nel racconto Il Leone e il ragno, Nana Kwame Adjei-Brenyah riprende il tema della famiglia. In un gioco di dualità tra la spensieratezza dell’infanzia, simboleggiata dalla storia del Leone e del ragno nei ricordi del protagonista, e le responsabilità d’adulto dopo che il padre ha abbandonato la famiglia, il protagonista guida il lettore attraverso un viaggio a doppio binario: da un lato la vita quotidiana, il lavoro, la fatica di proseguire gli studi, il desiderio di distaccarsi da una figura che ha tradito la fiducia del bambino che era; dall’altro il ricordo agrodolce delle fiabe, dove un piccolo ragno può ingannare il re della giungla e dimostrarsi migliore.

Un’allegoria che ammanta la crudezza del reale con una patina favolistica e col finale sospeso, a simboleggiare che la vita non si ferma e non ci si affranca mai dal bambino che si è stati.

Sputi di luce è un altro racconto che dimostra l’enorme versatilità dell’autore. La tematica portante – l’abuso e l’alta disponibilità di armi da fuoco – resta in sottofondo rispetto al grave problema del bullismo. William Cropper, soprannominato dai suoi coetanei Lardoman, stufo delle angherie dei compagni, compie una strage all’interno dell’istituto; in seguito alle sue azioni, le forze dell’ordine fanno fuoco, causando il suo decesso.

William si ritrova così fantasma, accompagnato da una delle sue vittime, Deirdra, ragazza al centro della popolarità che in seguito alla morte deve guadagnarsi un posto come diavolo o come angelo. Il ballottaggio della sua anima tra le parti è deciso dall’influenza che riuscirà ad avere su un giovane umano, Porter Lanks. Il ragazzo, ispirato dalle gesta di William, fantastica sul compiere una strage e Deirdra deve fare tutto ciò che è in suo potere per impedirlo.

Il racconto è un sottile scambio di battute tra defunti, impegnati a riflettere su vecchi rancori, sulle loro vite spezzate e sull’ironia del destino che li ha affiancati in una missione di riscatto dall’indifferenza e dalla violenza, dimostrando come l’esistenza risulti mutevole e le conseguenze dell’altruismo possano davvero cambiare il corso del fato.

Centro commerciale, una famiglia intenta alle compere e una gara tra commessi per aggiudicarsi la vendita. Come vendere un giaccone, secondo il Re dei Ghiacci è uno spaccato di Venerdì Nero, quando il morbo del Black Friday è terminato e la vita scorre normalmente. Il protagonista, il campione del giorno degli sconti, si confronta con una giovane collega, Florence, per il titolo di miglior venditore.

Un racconto sull’empatia e la capacità dei commessi di intuire i desideri dei clienti, ma anche sulla necessità di portare a casa la vendita e le sottili tecniche di manipolazione utilizzate per indurre all’acquisto. Uno spaccato psicologico, con in sottofondo la speranza di giovani precari che un giorno la vita gli offrirà di più di un lavoro da commessi, ma anche su quanto l’aspetto e il genere possano influire nella riuscita di un affare e sulla predisposizione degli altri verso di noi.

Il tema delle vendite e degli acquisti compulsivi viene trattato anche in Nel commercio al dettaglio, dove la giovane protagonista si ritrova ad avere a che fare con una cliente di lingua ispanica. L’incomunicabilità, fulcro di tanti racconti di Friday Black, si ripresenta forte e potente sotto forma di barriera linguistica, oltre che nelle forme d’indifferenza e macabra ironia che avvolgono la morte di una collega, Lucy, spinta al suicidio dall’alienazione e dal senso di inutilità causati dal lavoro.

Così, per la protagonista, «anche in un lavoro che non conta nulla come questo bisogna trovare il modo di pensare che si sta veramente aiutando qualcuno»: per sfuggire all’alienazione, alle risate dei vivi che sbeffeggiano la morte, per riconquistare la vita, è necessario gioire delle piccole cose e trovare un senso al proprio agire, anche se si tratta solo di aiutare una cliente a trovare una camicia rossa.

Friday Black si chiude con la più pura fantascienza distopica. Dopo il Lampo, ultimo di dodici racconti, è uno spaccato potente di una società ridotta allo sbando dopo che una luce d’origine ignota cancella tutti dal mondo, costringendoli a ripetere per sempre le solite ventiquattro ore.

Non dimentichi dell’accaduto e imprigionati nel Loop, alcuni tra gli abitanti scatenano i propri istinti bestiali, altri si disperano nel restare bloccati all’età dell’infanzia, altri ancora si adagiano nel ripetersi di una quotidianità. E alla fine di un mondo che dura un giorno solo, ci si mette in posa contro un muro, nella speranza che il Lampo arrivi per l’ultima volta e marchi la tua impronta sul muro da lasciare ai posteri.Dopo il Lampo è un racconto di forza inaudita, di necessità di restare uniti e del senso di infinitezza che coglie la razza umana quando ci si rende conto che «neanche l’apocalisse è la fine» e che l’importante è non restare soli.