Molti esordi di scrittori affermati sono racconti ampliati. In questa categoria rientra anche Fiori per Algernon, dell’allora trentaduenne scrittore americano Daniel Keyes, edito da Editrice Nord e ripubblicato da Tea Libri.
Il racconto Fiori per Algernon è stato scritto nel 1958 e pubblicato nel 1959 da The Magazine of Fantasy and Science Fiction. È stato tradotto in italiano lo stesso anno, e inserito nella raccolta Le Meraviglie del Possibile. Nel 1960 vince il premio Hugo come miglior racconto breve. Nel 1966 Daniel Keyes decide di ampliarlo e farne un romanzo, vincendo così anche il premio Nebula.
Fiori per Algernon
La storia è narrata dal punto di vista di Charlie Gordon, un uomo affetto da ritardo mentale che lavora in una panetteria. Charlie non è infelice: la sua incapacità di comprendere realmente ciò che lo circonda gli impedisce di rendersi conto di essere oggetto di prese in giro, ed è convinto di essere pieno di amici. Charlie ha, però, tanta voglia di imparare e diventare intelligente. Per questa ragione, viene selezionato per un esperimento chirurgico volto ad aumentare vertiginosamente la sua intelligenza. Si tratta però di un progetto ancora in fase di sperimentazione, fino ad allora condotto con successo solo su un topo, Algernon. L’esperimento riesce, e Charlie diventa progressivamente sempre più intelligente, fino a essere un vero e proprio genio. La sua maturità emotiva è ancora a uno stadio infantile, ed egli fatica a intrecciare una relazione con la donna di cui si è innamorato. Charlie, inoltre, si scontra con la dura realtà: gli scienziati portano lui e Algernon al trionfo come se fossero oggetti, esseri creati in laboratorio che prima non erano di alcuna utilità o importanza.
«La cultura, la conoscenza, sono diventate tutte grandi idoli. Ma io so adesso che voi tutti avete trascurato una cosa: l’intelligenza e l’educazione che non siano temperate dall’affetto umano non valgono nulla.»
Il romanzo
Fiori per Algernon non denuncia la sua origine come racconto. La narrazione si presenta in modo molto organico, senza “stacchi” o cadute di tono, come se fosse stato pensato sin dall’inizio di questa lunghezza. Da un abile scrittore ci si aspetta questo tipo di competenza, ma è lo stesso impressionante, trattandosi di un esordio. Una cosa che salta subito all’occhio è che buona parte del libro è scritta in modo sgrammaticato.
La fermiera pelleeosa si kiama Hilda ed è tanto buona con me. Mi porta roba da mangiare e riffà il letto e dicie che sono stato un uomo molto coragioso a lassiarmi fare tutte cuelle cose a la testa. Dicie che lei non si lasierebe mai tocare il ciervello né pure per tutto il tè de la Cina. Ci o detto che non è stato per il tè de la Cina. È stato per rendermi inteligiente. E lei a deto che forse non anno il dirito di farmi inteligiente perché se Dio mi averesse voluto inteligiente mi averebbe fatto nasciere così.
La storia è infatti è scritta proprio da Charlie, sotto forma di rapporti sullo stato di avanzamento. Tali documenti dovranno essere raccolti, studiati e allegati alla ricerca. Va da sé che i primi rapporti sono scritti da un uomo affetto da un ritardo mentale – e sono i capitoli più struggenti. Il lettore ha l’impressione di soffocare, dietro il vetro appannato che è la scarsa capacità di percezione e di comprensione di Charlie; si capisce abbastanza bene cosa gli sta accadendo, e ci si strugge per l’impossibilità che ha di reagire.
Quando i rapporti saranno scritti in modo corretto e da un Charlie estremamente intelligente, questa sensazione di oppressione la si condividerà col protagonista stesso: egli, infatti, si tuffa spesso nei ricordi di quando era bambino, e assiste con rabbia alla crudeltà delle persone da cui il piccolo, indifeso Charlie era circondato. Un Charlie che è sé stesso ma anche qualcos’altro, e le cui azioni vengono narrate in terza persona, perché il Charlie intelligente è, come noi, uno spettatore impotente.
Charlie fissa l’enorme pezzo di pasta e il coltello che Gimpy gli ha messo in mano. E una volta di più il panico lo pervade. Qual è la cosa che ha fatto per prima? Come la teneva, la mano? E le dita? In che modo arrotolava la pasta formando una palla?… Mille idee che lo confondono gli esplodono nella mente tutte in una volta e lui rimane lì in piedi a sorridere. Vuole riuscire, vuole accontentare Frank e Gimpy e fare in modo da piacere loro e avere il lucente ciondolo portafortuna che Gimpy gli ha promesso. Gira e rigira sulla tavola il liscio e pesante pezzo di pasta, ma non riesce a indursi a cominciare. Non può tagliarlo perché sa che fallirà e ha paura. «Ha già dimenticato»
Fiori per Algernon: l’umanità
Il tema che ricorre più di frequente è l’umanità, declinata in vari modi. L’umanità di Charlie, anche quando era affetto da ritardo mentale, i suoi sentimenti calpestati dalle pretese della madre, dall’ostilità di sua sorella, dalle prese in giro dei suoi compagni di scuola e – in seguito – dei suoi colleghi di lavoro. L’umanità di Charlie non è stata rispettata neanche una volta diventato intelligente, perché è stato trattato come una cavia da laboratorio: la sua intelligenza viene vantata come una costruzione degli scienziati, che sostengono di averlo “creato”, come se prima non fosse mai esistito.
«Ma io non sono un oggetto inanimato», ho sostenuto. «Sono una persona.» Per un momento è sembrato confuso, poi ha riso. «Sicuro, Charlie. Ma io non mi riferivo al presente. Parlavo dei tempi prima dell’operazione.»
«Ero una creatura umana anche prima dell’intervento. Nel caso che se ne sia dimenticato…»
La bravura di Keyes nel dipingere un ritardo mentale rende poco sorprendente che egli abbia una laurea in psicologia. Lo scrittore ritornerà sul tema delle malattie mentali col suo romanzo Una stanza piena di gente, in cui esplora la mente di William Stanley Milligan, una persona realmente esistita e affetta – ma questo è dibattuto – da disturbo di personalità multipla.
Paradossalmente, malgrado l’abilità nello scrivere dal punto di vista di un uomo affetto da ritardo mentale, la critica che può essere mossa a Daniel Keyes è di non aver diversificato le voci degli altri personaggi.
Una volta che Charlie diventa un genio, e riporta i dialoghi in modo testuale, ci si rende conto che non c’è una grossa differenza fra la voce del fornaio e quella dello scienziato. Questa sensazione è peggiorata dalla traduzione, che ha la tendenza a usare nei dialoghi i pronomi personali “ella” ed “egli” in modo irrealistico per la lingua parlata.
Ha detto Gimpy spostando il piede zoppo. «Dovrebbe tenere gli occhi chiusi dinanzi a cose del genere e capire quali sono i suoi amici»
«Mi dissi, Arthur Donner, finché avrai la panetteria e del lavoro ti occuperai di Charlie. Egli avrà un posto in cui lavorare, un letto in cui dormire e un pezzo di pane in bocca»
Si ha dunque l’impressione che gli altri personaggi siano sacrificati rispetto a Charlie, e questo si rispecchia crudelmente nei personaggi femminili. Certo l’intento consapevole di Daniel Keyes era dipingere il Charlie intelligente come una persona emotivamente immatura, egocentrica, concentrata su sé stessa: in questo, l’obbiettivo è stato centrato. I personaggi femminili del romanzo soffrono però in modo ancora più accentuato della mancanza di attenzione dell’autore: paiono privi di una personalità che non sia stereotipata, esistono per le esigenze del protagonista e poi spariscono dalla circolazione finché non tornano utili.
Fiori per Algernon rimane un ottimo romanzo, estremamente interessante da leggere soprattutto per coloro che si sono sentiti “alieni” e incompresi almeno una volta nella loro vita. Il messaggio, poi, è estremamente importante e offre molti spunti di riflessione riguardo il modo di trattare persone affette da ritardo mentale.
Maria Giulia Taccori
Commenti recenti