Esistenze frammentate, quelle dei protagonisti del romanzo d’esordio di Alessandra Carati, E poi saremo salvi (Mondadori), pronto a sfidare nomi ben più noti al pubblico nella settina del Premio Strega 2022.
La storia parte da un viaggio, o meglio: da una fuga. Quella di Aida e della sua famiglia, profughi bosniaci che arrivano in Italia per sfuggire ai massacri che imperversano nel paese natio. Un esodo, quello di Aida, che si mostra in frammenti di vite – la sua, quella dei fratelli, dei genitori – e in un progressivo e schizofrenico desiderio di salvezza.
Aida cerca un appiglio per sostenerla nella crescita che non attende i tempi di una famiglia disgregata, allo sbaraglio, preda della necessità di ritrovarsi e di piantare le radici brutalmente sradicate in un terreno che non gli appartiene e che non sa come nutrirli.
In questo dissodarsi del campo familiare, Aida si arrabatta e prende le distanze dai suoi familiari, troppo dissimili al nuovo mondo a cui cerca di adattarsi, troppo simili a ciò che le cresce dentro. I pezzi del puzzle della famiglia della protagonista, complice anche la penna delicata di Carati, si sparpagliano, si piegano sotto i colpi che cercano brutalmente di ricostruire un’immagine per cui non esistono più istruzioni.
E poi saremo salvi: un inno alla speranza
E poi saremo salvi intreccia numerosi piani narrativi: la storia di Aida, la storia della sua famiglia, la Storia di un territorio, quello dell’ex Jugoslavia, lacerato dai conflitti interni. In queste tre storie, i i fili conduttori che si dipanano sono due: la speranza e la schizofrenia.
Da un lato, infatti, abbiamo lo schizofrenico tentativo di Aida di vivere in due realtà – quella italiana e quella bosniaca -, di comprimere dentro un unico corpo due nature che sembrano entrare in conflitto tra loro. Questa disgregazione interna, si concretizza nella malattia del fratello minore, Ibro, perennemente insoddisfatto, perennemente alla ricerca di un sé che non trova, lacerato anch’egli da un male che assume i contorni della psicosi. Sullo sfondo di una schizofrenia esistenziale (Aida) e una reale (Ibro), quella della guerra, che si presenta al lettore in una serie di frammenti di crudezza ovattata. Carati si concentra, infatti, sul dettaglio (un autobus rovesciato, per esempio), per spiegare l’universalità del male, muovendosi in punta di penna, come una ballerina sui cristalli.
Ma se il mondo che circonda i protagonisti è schizofrenico, è proprio questa malattia interiore ad alimentare la ricerca della salvezza. Ciascuno di loro – Aida, Ibro, il Paese – desidera che qualcuno afferri la loro mano e li tiri fuori da un mondo al collasso. Un grido disperato d’aiuto si propaga dalle pagine, s’intreccia nella fragilità dei vari personaggi, e giunge – chiaro e distinto – alle orecchie del lettore, in uno strascico doloroso di disperazione.
Eppure, è proprio questa disperazione ad alimentare la speranza. Finché si chiede salvezza, si spera di scorgere la mano tesa. Di potersi, anche solo per un attimo, proiettare altrove e distaccarsi dal terreno sterile e stantio. Per questo, E poi saremo salvi è prima di tutto un inno alla speranza, un canto della frammentazione umana che chiede a un demiurgo assente di riassemblare i pezzi e dar loro una nuova forma. E il demiurgo risponde, infatti. La forma è lì, a patto di rinunciare a quella precedente e conservarne soltanto le schegge.
Un romanzo coraggioso, ma non abbastanza
Il romanzo di Alessandra Carati ha indubbiamente il potenziale di un ottimo libro: la scrittura caustica coinvolge il lettore, lo sfondo storico avvolge come una coperta sfilacciata, e i personaggi s’imprimono vivi nella memoria. Tuttavia, il porre in contrasto la crudezza di alcune scene con uno stile più raffinato e meno “rozzo” spezza la sospensione dell’incredulità.
Anche volendo percepire l’insieme come la visione ovattata fornita dalla protagonista – e pur ammettendo con gioia che il continuo incalzare, senza sconti né tregue, della narrazione è davvero coinvolgente -, il calo di tensione rende spaesato il lettore che, confuso, non riesce più a comprendere le diverse linee narrative che si sovrappongono l’una all’altra.
E poi saremo salvi è una bella prima prova. Eccellente, in realtà, ma non priva di quel timore di scontentare o infastidire il lettore che caratterizza molti primi libri. Questo, è un peccato, perché è un libro che ha il potenziale di essere disturbante, fastidioso, di scavare fino in fondo alla pancia e lì porre semi. Tuttavia, non lo fa: invece di sfondare la porta, si limita a bussare – per fortuna insistentemente – e ad aspettare sulla soglia il permesso di accomodarsi, lasciando alla sensibilità del singolo la possibilità di aprire o non aprire l’uscio.
Giulia Manzi
Commenti recenti