Vicino alla mia università c’era un centro per rifugiati Curdi, ci passavo accanto tutti i giorni, li vedevo e tiravo dritto, sempre stupidamente indaffarata, sempre troppo di fretta. Ora mi pento di non aver chiesto loro da dove venissero, quale fosse la loro storia, la loro Storia con la “S” maiuscola e la loro storia personale. Però c’è sempre modo di rimediare, l’informazione è un atto di coscienza, di responsabilità storica, di rispetto verso gli altri e verso sé stessi. Il problema era da dove cominciare, la Guerra Siriana in realtà ha origini piuttosto recenti, se vogliamo stabilire una data di inizio si parla del 2011 ovvero l’anno della Primavera araba, ecco questa data non è importante solo ai fini storici, è importante anche per me, io ero già grande, già consapevole di certe dinamiche che l’uomo mette in atto arrivando spesso ad esiti tragici.
La guerra di cui parliamo è crudele e spietata come quelle che in quegli stessi anni io studiavo a scuola, però era diversa. Certo per le cause che ne hanno portato allo scoppio, (in realtà neanche troppo diversa da questo punto di vista visto che gira e ti rigira lo scopo è sempre uno: il potere), le armi saranno state diverse, i popoli protagonisti altri, ma più di tutti c’è un elemento fondamentalmente diverso, e cioè che stava accadendo mentre io esistevo, a differenza di tutta l’altra Storia che avevo, o stavo studiando, quella guerra avveniva proprio mentre io stavo crescendo, e nasce inevitabile il rimpianto per non essermi informata in tempo, perché poi è più difficile recuperare tutto, perché non ho offerto il mio sostegno, perché non ho ascoltato quelle poche notizie che mi arrivavano alle orecchie, certo poi si può sempre cercare di recuperare, ma quanto è difficile a posteriori rimanere in piedi davanti alla coscienza di essere stati fermi, impassibili, di schiena a certe cose? E poi da dove cominciare?
Da dove si comincia?
Ebbene si comincia proprio da questo libro, Dov’è casa mia di Davide Coltri, pubblicato da Minimum fax, è tragicamente sublime, è un ottimo punto di partenza per entrare a contatto con la realtà attuale della guerra siriana, di cui purtroppo i Curdi ne pagano le spese più dure, essendo loro attaccati da tutti.
Davide Coltri ci porta alla scoperta di storie travolgenti, spesso con esiti drammatici, a volte tratteggiate da un filo di speranza, perché anche se è scontato, lo sappiamo che la speranza è sempre l’ultima a morire.
I protagonisti di queste storie hanno perso la propria casa, e infatti il titolo non è scelto a caso perché, se da una parte questo ha uno stretto legame con uno dei racconti, in realtà ha in comune qualcosa con ognuno degli altri.
I protagonisti si spostano, vagano, si imbarcano, o restano, sono comunque tutti alla ricerca della casa, della propria casa, che sepolta sotto alle macerie conserva i preziosi ricordi, oppure che è ormai troppo lontana da non vedersi più.
Casa
Il concetto di casa non è solo da intendersi in senso realistico, ma anzi in questi racconti il lettore può confrontarsi con il valore simbolico della casa, che cosa significa per le persone, che cosa rappresenta per i bambini che dovrebbero poter giocare e studiare, per gli adulti che devono proteggerli, ma anche continuare a sperare, continuare a pregare.
Davide Coltri ha vissuto sulla propria pelle esperienze come queste, e se l’esperienza regala consapevolezza, Coltri ci dona la sua conoscenza, il suo vissuto attraverso questi racconti.
Ci racconta di quelle storie con cui è venuto in contatto o di cui è stato protagonista, storie che ha appuntato qua e là, dove poteva e come capitava, tracce di vita recuperate che sono testimonianza di una quotidianità fatta di sopravvivenza, di gentilezza, di riconoscenza, e di dolore, molto dolore.
Khalat, la graphic novel di Giulia Pex
E se è vero che quando le storie vere seminano qualcosa di positivo, questo libro ha ispirato anche una graphic novel. Khalat, illustrata da Giulia Pex, e pubblicata da Hoppípolla.

La graphic novel è ispirata al primo racconto di Dov’è casa mia, ovvero la storia di una donna che aveva dei sogni di ragazza, ma ha dovuto cambiare i suoi piani, riadattare la sua vita in funzione della sopravvivenza. E così Khalat, come una moderna rappresentazione femminile di Enea si carica sulle spalle la sua famiglia, o quel che ne resta, per fuggire e cercare di trovare un futuro migliore.
Le illustrazioni sono stupende e donano al racconto il senso realistico della drammaticità. Sono illustrazioni crude, i personaggi sono delineati con tratti precisi e al tempo stesso rappresentati così minuziosamente da sembrare eccessivamente realistici, appunto drammatici. La matita, strumento principe nello stile di Giulia Pex è qui sostenuta dagli acquerelli splendidamente dosati. Inquadrature nette, dal taglio spesso cinematografico, che risuonano ritmicamente incalzanti come una marcia, che poi altro non è che la fuga narrata nel racconto.




Ringrazio l’autore per averci portato a testimonianza delle storie vere, tanto lontane quanto vicine, ringrazio quel giorno in cui per caso ho scovato il libro in libreria, ringrazio me stessa per aver preso l’impegno di informarmi, percorso che non finisce mai. Ringrazio ovviamente gli editori Minimum fax, che non ne sbaglia una e Hoppípolla che dà sostegno ad artisti bravi come Giulia Pex.
E ringrazio voi per aver letto la recensione di oggi, che poi in realtà le mie non sono mai recensioni vere e proprie ma più mie riflessioni personali che amo condividere, spero mi perdoniate per questo.
Infine mi auguro di avervi incuriosito e di aver acceso in voi la curiosità per questo libro!
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