Diceria dell’untore di Gesualdo Bufalino
Pubblicato per la prima volta nel 1981 Diceria dell’untore riscosse molto successo, arrivando fino ad ottenere il premio Super Campiello dello stesso anno.
Questo romanzo, in parte autobiografico, è nato per mano di un autore che lo riscrisse più volte modificandone varie parti e mettendo mano ai caratteri dei personaggi, e che lo tenne per molto tempo chiuso nel cassetto. Addirittura prima di arrivare a tale titolo l’autore vagliò l’idea di chiamare il romanzo con questi titoli: Annale del malanno; Elegos in barocco; Il labbro gonfio; Le vanitose agonie; Aegri ephemeris; Totentanz…
La reclusione per il testo finì quando arrivò tra le mani di una donna decisa ad ottenere ciò che voleva. L’editrice Elvira Sellerio riconobbe lo spessore letterario dell’opera e quasi costrinse Bufalino alla pubblicazione. Così il libro, che apparve nelle prime forme tra la penna di Gesualdo Bufalino che lo iniziò nel 1950 vede la conclusione venti anni dopo, per poi essere pubblicato da Sellerio nel 1981.
Una storia di malattia e di angoscia
La storia raccontata è caratterizzata da un immobilismo disarmante, succede poco e quel che succede è la storia di una malattia, di un avanzamento verso la morte che non abbandona mai il protagonista e i personaggi secondari.
Il romanzo è ambientato in un sanatorio degli anni successivi alla guerra, in una Sicilia che immaginiamo deserta, antica e aspra, così come è il viaggio che i personaggi del romanzo stanno compiendo.
Il viaggio per molti di loro ha un’unica destinazione, la morte, essi infatti vivono i loro ultimi giorni, settimane o anni in una situazione di attesa, non sono morti e non stanno morendo, ma sono sicuramente più vicini a questa fase che alla vita stessa. Non muoiono ma non guariscono.
Il protagonista anche è malato e vive questa attesa con inquietudine e impazienza. Durante la sua permanenza alla Rocca, dove è allestito il sanatorio, riesce a scorgere il volto di una donna, con il passare dei giorni le ruba i pochi momenti in cui lei si mostra alla vista. Viene a conoscenza del suo nome, Marta, ha un aspetto malato, ma i due sono accumunati da un male che li incatena allo stesso destino, che gli lascia poche speranze di guarire.
I due vivranno poco tempo vicini, tra gli incontri fortuiti e le fughe nascoste vivono un amore forte quanto il dolore che provano ogni giorno, forte quanto la paura che hanno di avvicinarsi al traguardo.
La morte è tanto vicina quanto certa, ma in realtà questo romanzo parla di un protagonista che è un sopravvissuto, in un percorso che lo porta a rinascere vedendo i suoi compagni morire.
Questo romanzo è sconvolgente, mette sul tavolo le carte della vita, la disperazione, la paura, il dolore ma anche l’amore, la speranza e la voglia di rinascita.
Leggere questo romanzo vuol dire mettersi a disposizione come una tela bianca ed uscirne segnati dal vissuto del protagonista, chi legge Diceria dell’untore diventa la rappresentazione del protagonista stesso.
Diceria dell’untore: la rappresentazione di una grande sensibilità letteraria
Oltre al percorso di catarsi che ho vissuto leggendo questo libro c’è un altro aspetto che ho amato, e si tratta della sensibilità lessicale. Abbiamo sempre molto da imparare dai grandi autori, e grazie a Bufalino ho apprezzato la scelta di avvicinare parole accomunate dal suono simile una che richiama l’altra, e dalla corrispondenza concettuale. In un gioco di relazioni che regala ritmo alla narrazione. Ho letto questi passi come delle poesie, e come tali assumono per me la stessa loro aura di sensibilità.
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