Note introduttive di una dantista (per passione, non per scelta)

Nel mezzo del cammin della mia vita, ma in realtà proprio al suo inizio, conobbi Dante.

Avevo otto anni, un enorme serie di volumi della Divina Commedia splendidamente intarsiati, e un papà la cui malattia non gli permetteva più di giocare con me, ma che aveva ancora voce per leggere.

Mi accoccolavo sul bracciolo della sua poltrona e lo ascoltavo decantare, da quei meravigliosi volumi, le terzine della Commedia. Ricordo con precisione disarmante, quel giorno di venticinque anni fa, quando cominciò il cammino che mi avrebbe portata ad amare l’opera magna di Dante. Un amore che non venne mai scalfito dalla scolarità dell’approccio che incontrai durante gli studi.

Ritrovarmi, quindi, a parlare di Dante in occasione del suo centenario ha per me un valore intimo, oltre che intellettuale. Significa reintrodurre le dita nelle piaghe del tempo, srotolarne i filamenti e ritrovare un po’ della me bambina che recitava le cantiche dell’Inferno, memorizzate come una bellissima canzone di cui non conosceva il significato.

Come il mio amore Dante affonda le sue radici nella mia persona nel passato, il Poeta è però indubbiamente un figlio del suo tempo. Non si può prescindere la sua persona e la sua opera più grande dal periodo in cui esso è inserito.

Pertanto, per inaugurare questa mia partenza nel contribuire agli articoli per il centenario (di cui trovate il primo qui), ritengo necessario un excursus proprio su questo argomento: Dante e il medioevo. Il medioevo e Dante. Due mondi talmente in correlazione che non si può parlare dell’uno senza l’altro, perché Dante è – inequivocabilmente e senza transigere – la più grande espressione dello Zeitgeist, il genius saeculi o, più semplicemente, lo spirito del tempo a cui apparteneva.

La Divina Commedia: enciclopedia del medioevo

All’interno della Commedia, successivamente definita “Divina” dal Boccaccio, è racchiuso un enorme patrimonio culturale.

L’opera più famosa di Dante, infatti, non è solo un poema dalla levatura epica; in essa, il Poeta racchiude tutto il sapere del suo tempo: dalla filosofia alla matematica, dall’astronomia alla teologia. La Divina Commedia è una canzone le cui note evocano, in una perfetta armonia, l’intero medioevo.

In quel periodo, il mondo era fortemente teocentrico e la tendenza a un principio unitario divino influiva anche sulla cultura che era, in conseguenza, di tipo enciclopedico. Non esisteva la suddivisione disciplinare moderna, ma ogni studioso portava con sé un enorme bagaglio di conoscenze letterarie, filosofiche, storiche, astronomiche, scientifiche, ecc.

Al centro dell’insegnamento, v’erano le arti liberali, divise in arti del Trivio e del Quadrivio, sezioni che presiedevano rispettivamente alle discipline letterarie e filosofiche e a quelle scientifiche. L’enorme fermento culturale del medioevo, che ha portato alla fondazione di scuole e università come la Schola Medica di Salerno (IX secolo), la Facoltà di Diritto a Bologna (1088), l’Università di Oxford (1096), la Sorbona di Parigi (1170), l’Università di Cambridge (1209) e l’Università di Salamanca (1215), si esprime in tutta l’opera dantesca, a partire dalle citazioni dei suoi maestri:

Questi che m’è a destra più vicino,
frate e maestro fummi, ed esso Alberto
è di Cologna, e io Thomas d’Aquino […]
Per vedere ogne ben dentro vi gode
l’anima santa che ‘l mondo fallace
fa manifesto a chi di lei ben ode […]
Vedi oltre fiammeggiar l’ardente spiro
d’Isidoro, di Beda e di Riccardo,
che a considerar fu più che viro.

Par. X, 97-99.124-126.130-132

Dante si pone come erede di tutto lo sterminato background culturale del suo tempo, di cui si dimostra perfetto conoscitore e divulgatore. Tuttavia, c’è in Dante un abbandono del Principio d’Autorità (l’ipse dixit), in virtù di un genuino desiderio di conoscenza, di “divenir del mondo esperto“. Espressione di quest’ansia conoscitiva, generata dalla meraviglia aristotelica, è il personaggio di Ulisse che afferma:

…Né dolcezza di figlio, né la pieta
del vecchio padre, né ‘l debito amore
lo qual dovea Penelopè far lieta,
vincer potero dentro a me l’ardore
ch’i’ ebbi a divenir del mondo esperto
e de li vizi umani e del valore […]
“Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza.

Inf. XXVI, 94-99.118-120

L’indagine del mondo, inizia infatti dallo stupore e dalla meraviglia. Lo stupore è così:

uno stordimento dell’animo per grandi e meravigliose cose vedere o udire o per alcuno modo sentire: che, in quanto paiono grandi, fanno reverente a sé quelli che le sente; in quanto paiono mirabili fanno voglioso di sapere di quelle.

Convivio IV, XXV, 5

Lo studio della realtà parte, per Dante, dall’osservazione dei fenomeni, secondo il principio espresso da Beatrice nel Cielo della Luna:

…Solo da sensato apprende
Ciò che fa poscia d’intelletto degno

Par. IV, 41-42

Proprio da questa capacità di osservazione acuta dell’esistente, dalla sua conoscenza degli antichi, dalla conoscenza dei dati, nascono le pagine più belle della Divina Commedia: Gerione che si avvita nell’aria, Guido da Montefeltro, le mura della Città di Dite, l’Angelo del Purgatorio che ispira il processo di riflessione della luce, i Giganti simili alle Torri di Montereggioni…

La conoscenza di Dante del suo periodo è incommensurabile. La sua cultura spazia dalla mitologia greca e romana, alle conoscenze ecclesiastiche, naturalistiche e scientifiche, ma ancora più grande del suo sapere è la capacità di interiorizzare tali conoscenze e di intrecciarle in un’opera che è quanto mai espressione del suo tempo.

Giulia Manzi