Non è insolito che un’opera prima possa essere considerata un capolavoro, ovvero l’apice di una carriera letteraria. Un esempio? Apologia di Spoon River di Edgar Lee Masters, opera prima e unica (l’autore non riuscirà mai a replicarne il successo letterario) dello scrittore statunitense. Tuttavia, ben lontano dal mondo di Masters, Ray Bradbury è riuscito a conquistare la fama immortale grazie al suo Fahrenheit 451, ma soprattutto per merito del suo esordio: Cronache marziane (Oscar Mondadori).
Nel 1950, l’allora trentenne Bradbury, raccoglie per Doubleday i 28 racconti di fantascienza su Marte, regalandoci una pietra miliare della fantascienza.
Non per nulla, Cronache marziane è il libro che più di tutti ha reso popolare il genere in Europa. L’abilità narrativa di Bradbury, la poesia delle immagini che riesce a trasmettere, ma soprattutto la visione immaginifica di un Marte ancor oggi molto lontano, contribuiscono a diffondere quella che, fino a quel momento, era considerata solo “letteratura di consumo”.
Cronache marziane e l’epoca d’oro della fantascienza
D’altronde, Cronache marziane è una delle espressioni più alte della cosiddetta “epoca d’oro” della fantascienza, sviluppatesi sotto l’egida di John Campbell e che conta scrittori del calibro di Huxley, Sturgeon, Asimov…
In questo panorama, s’inserisce Bradbury: una penna fresca, allettante, capace di riassumere il principio alla base della rivoluzione campbelliana: come il progresso tecnologico si ripercuote sull’umanità.
E, in Cronache marziane, raccolta che assieme agli splendidi paesaggi immaginari mostra bene il danno della colonizzazione a oltranza, Bradbury si sofferma bene:
La scienza è corsa troppo innanzi agli uomini, e troppo presto, e gli uomini si sono smarriti in un deserto meccanizzato, come bambini che si passino di mano in mano congegni preziosi, che si balocchino con elicotteri e astronavi a razzo; dando rilievo agli aspetti meno degni, dando valore alle macchine anzi che al modo di servirsi delle macchine. Le guerre, sempre più gigantesche, hanno finito per assassinare la Terra. Ecco che cosa significa il silenzio della radio. Ecco perché noi siamo fuggiti.
Una profezia dal passato
La storia della colonizzazione di Marte dal 1999 al 2026 ha il profumo profetico delle distopie di Huxley e Orwell, ma anche del lirisimo magico di Fitzgerald, della paura e della speranza in un futuro che, negli anni ’50, appariva ancora lontano.
E se da un lato ci viene mostrata la distruzione di una civiltà a favore di un’altra, dall’altro la raccolta di Bradbury proietta verso la speranza. D’altronde, se: “La vita sulla Terra non s’è mai composta in qualcosa di veramente onesto e nobile.“, è anche vero che è possibile “voltare le spalle a tutto quello che fu nostro sulla Terra e ricominciare secondo nuove idee“.
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