Quando si ama qualcuno, si amano anche i suoi limerick

I libri gialli mi annoiano, non posso farci nulla. Quelli puramente investigativi mi fanno addormentare, mentre quelli con una componente più thriller o fatti davvero bene mi creano ansia e disagio. Così, non ne leggo, o se lo faccio opero una selezione serrata.

Ma come? Non ti piacciono i libri gialli eppure su Pretesto ne parli?, direte. Ebbene sì, perché tra il piacermi un genere e saper apprezzare un buon libro ne passa di acqua sotto i ponti. Difatti ho recensito personalmente alcuni libri gialli (come La mossa del gatto) che ho trovato davvero gradevoli, ma no. Non è il mio genere, non lo è mai stato, non fa per me.

Potete quindi immaginare la sorpresa che ho provato quando, da ragazzina e completamente digiuna delle differenze tra un genere e l’altro, ho scoperto che Isaac Asimov era un giallista. Come era possibile? Il mio scrittore preferito, il mio uomo ideale, colui per il quale avevo deciso di prendere in mano la penna, non solo apprezzava i gialli, ma li scriveva pure!

Alto tradimento! Oltraggio alla corona positronica! Disonore su di lui, sulla sua famiglia, sulla sua mucca cybernetica!

Eppure, riflettendoci bene, Isaac Asimov ha sempre scritto gialli. I suoi Abissi d’acciaio e Il sole nudo sono veri e propri investigativi, nonostante la contaminazione fantascientifica. Per un lettore avvezzo al genere, non come ero io all’epoca, era facile riconoscere nelle indagini di Elijah Baley e Daneel R. Olivav le influenze delle detective stories. Ma io, piccola bambina ignorante, sebbene avessi già fatto conoscenza con Maigret, Poirot e Holmes, ero talmente catturata dall’ambientazione fantascientifica che non vi riflettei. Tutt’altro, rendermi conto, in adolescenza, che tra i miei libri preferiti figuravano proprio dei gialli, mi sconvolse abbastanza. Non tanto, però, da impedirmi di acquistare nel 2008 I racconti dei Vedovi Neri, edito da Minimum Fax.

D’altronde, quando si ama qualcuno come io amo Asimov, si è disposti ad amare anche i suoi difetti, no?

Il giallo fantascientifico

Asimov comincia la sua carriera di scrittore con la fantascienza, questo è indubbio. Il suo primo racconto, Naufragio al largo di Vesta, trova spazio all’interno di Amazing Stories nel 1938. Ma queste sono notizie che sappiamo già.

Ciò nonostante, era già un appassionato del mistery, il suo «primo e più grande amore letterario». Rimane talmente influenzato dal genere che non esita a introdurre gli elementi di mistero all’interno dei suoi libri di fantascienza (e qui è dove io sono rimasta fregata), tanto che nel 1969 pubblica con Doubleday un’intera raccolta: Asimov’s Mysteries (Misteri. I racconti gialli di Isaac Asimov, pubblicato da Fanucci e al momento fuori catalogo).

Nel 1958 si approccia al giallo puro: The Death Dealers trova la sua fortuna con Avon e successivamente con Walker&Company col titolo di A Whiff of Death (e in Italia con Mondadori, Un soffio di morte).

Ma la letteratura gialla stava cambiando e Asimov era un classicista. Nel senso che non apprezzava le intense contaminazioni thriller che imperversavano nel genere. Anzi, era innamorato degli investigatori, tra cui Hercule Poirot e le sue indagini più cerebrali che spettacolari. Non per nulla, nel 1984 curerà una raccolta di racconti gialli/fantascientifici dal titolo: Sherlock Holmes nel tempo e nello spazio, in cui ospiterà L’avventura della zampa del diavolo, niente di meno che di Arthur Conan Doyle.

Così, quando nel 1971 Eleanor Sullivan, direttrice dell’Ellery Queen’s Mystery Magazine gli chiederà di scrivere un racconto della rivista, il nostro Asimov cominciò a muovere le sue, di meningi, per produrre un’opera “cerebrale”, come piaceva a lui.

Peccato che, come insegna South Park, «I Simpson l’hanno già fatto». E, in questo caso, i Simpson erano Agatha Christie.

«Agatha Christie, da sola, aveva già utilizzato tutti gli spunti possibili»

Ora immaginiamo un non troppo giovane Isaac Asimov, scrittore affermato, universalmente riconosciuto. Fatto? Ecco, quest’uomo cinquantenne si struggeva per la mancanza di idee. Semplicemente, perché una delle sue scrittrici preferite aveva già scritto tutto.

Vuoto. Foglio bianco. Blocco dello scrittore. Quanti aspiranti tali si sono trovati in una situazione simile? Lo vedo che fate finta di niente e fischiettate vaghi. Su! Alzate le mani, io sono la prima della fila.

La fortuna di Asimov sta però in due fatti: un amico attore dall’appartamento pieno di cianfrusaglie e un club, il Trap-Door Spiders, per soli uomini.

Ed ecco l’idea, lo spunto inerziale che dà il via al tutto. La miscela esplosiva che genera il Club dei Vedovi Neri. Un club di gentiluomini e il loro cameriere, Henry, dalle capacità deduttive straordinarie. Le serate e i misteri portati dai loro ospiti, trovano ospitalità presso l’Ellery Queen’s Mystery Magazine e successivamente, raccolti in volume da Doubleday.

I racconti dei Vedovi Neri: una ragnatela vischiosa

Ma eccoci qua, riallacciamoci all’inizio dell’articolo, che quanto Asimov sia bravo lo sappiamo, a prescindere dal genere.

Come annunciato, comprai I racconti dei Vedovi Neri nel 2008, al compimento dei miei vent’anni. Ero scettica e sicura che mi avrebbe annoiato, perché nonostante tollerassi i gialli cerebrali, apparteneva a un genere che trovavo incredibilmente noioso. Capitemi, vi prego: ho una discreta capacità deduttiva e quando arrivi a metà libro che hai già intuito il colpevole l’attenzione cala. A meno di non ritrovarsi dei personaggi memorabili, in grado di tenerti incollata alle pagine, ma nonostante questo mi manca il corretto spirito di approccio a un giallo.

I racconti dei Vedovi Neri non fece eccezione, salvo che per un particolare: molti dei misteri sono intuibili, ma non risolvibili. Nel senso che potrebbero essere facilmente sbrogliati da un lettore madrelingua, ma la traduzione rende complesso l’approccio agli indizi.

Perché? Perché Asimov fa un sacco di giochi di parole. E se i misteri di Elijah Baley e Daneel R. Olivav potevano essere risolti una volta assimilata la robopsicologia (quindi era necessario immergersi nell’ambientazione fantascientifica), quelli dei Vedovi Neri sono basati squisitamente sulle proprie conoscenze linguistiche e letterarie.

Interi racconti si reggono su giochi di parole racchiusi nelle edizioni originali di testi classici, altri sono deduttivi, altri ancora disorientanti.

Ciò che non manca, oltre alla prosa indecentemente snella di Asimov, è la risata. Per tutta la lettura si viene intrattenuti da limerick di dubbio gusto, battute frizzanti e dialoghi di rara brillantezza per la loro ironia.

Quando finii il libro per la prima volta, ne uscii deliziata. La seconda, divertita. La terza… la terza dovetti ammettere, con me stessa, che alcuni gialli non erano poi tanto male.

E che, sì, leggere è davvero come amare qualcuno: con i suoi pregi e i suoi limerick.