Ci sono favole che finiscono con l’essere dimenticate, fino a ritornare in una nuova veste alla memoria collettiva. Questo è il caso di Die zertanzten Schuhe (Le scarpe logorate dal ballo), conosciuta anche come Le dodici principesse danzanti. Un’antica favola europea che è stata tramandata fino ai giorni nostri dai Fratelli Grimm.

Nel sovraffollamento di retelling di favole classiche che affolla il reparto Young Adult delle librerie – basti pensare alle innumerevoli riscritture de La Bella e la Bestia, o di La SirenettaLa casa di sale e lacrime, esordio di Erin Craig (in Italia edito Fanucci) consiste in una piacevole eccezione rispetto alle storie ormai inflazionate. Difatti, Erin Craig rielabora Le dodici principesse danzanti e, se da un lato cade in alcuni cliché poco innovativi che tendono a banalizzare il racconto originario – come la conversione del protagonista maschile da persona di umili origini al classico “bello e dannato” -, dall’altro arricchisce la narrazione di dettagli macabri e di intrecci familiari complessi che rendono molto più vividi i personaggi.

La casa di sale e lacrime e Die zertanzten Schuhe: un confronto

Le versioni accreditate di Le dodici principesse danzanti sono numerose e hanno origine in varie zone dell’Europa centrale. Tutte, però, hanno un elemento in comune: scarpe che si consumano, una o più fanciulle che vanno a danzare in un palazzo sconosciuto ogni notte, e un giovane (di solito di povere origini) che le salva da quella danza.

La casa di sale e lacrime non fa eccezione: le dodici sorelle Thaumas sembrano colpite da una maledizione. Già quattro di loro sono decedute e, dopo che il padre si è risposato, tutti i pretendenti fuggono da loro per paura che siano maledette. Annaleigh, protagonista e voce narrante, viene a conoscenza di una porta magica che conduce lei e le sorelle in un palazzo dove tutte le notti si può ballare fino allo sfinimento. E così fanno, finché la tragica scomparsa di altre due sorelle, le visioni della piccola Verity e i continui incubi che sembrano tormentarla non la portano a capire che c’è qualcosa di strano nell’ossessione che le sorelle hanno sviluppato per quelle danze notturne.

Nella storia tramandata dai Grimm, le dodici sorelle si muovono di comune accordo per recarsi al ballo, e il re emana un editto secondo cui, chiunque riuscirà a risolvere il mistero delle scarpe consumate dalle sue figlie, potrà sceglierne una in sposa. Un soldato che ha ricevuto in dono un mantello dell’invisibilità riesce a ingannare la maggiore di loro, così da non farsi somministrare il sonnifero con cui tramortivano le guardie, e vede dodici principi che conducono le ragazze in un castello sotterraneo.

La scena si ripete per tre notti, finché il soldato non porta al re la prova che le principesse fuggono di notte. Il re gli concede in sposa la figlia maggiore e i dodici principi sono condannati a ballare in eterno nel palazzo incantato.

La casa di sale e lacrime riprende il topos delle dodici sorelle e dei balli notturni, ma arricchisce la favola di un elemento sovrannaturale: divinità e stregoni, ma anche fantasmi, araldi divini, incubi inquietanti e paranoie. Le sorelle sono tormentate a causa di un patto con un essere sovrannaturale, tema che riprende il riferimento alla versione in cui il ballerino è il diavolo in persona. Ci sono contratti, situazioni mercantili, problemi familiari e gelosie interpersonali che, piacevolmente, non sono mai dirette verso un interesse amoroso comune (anzi, le sorelle sono molto complici sugli interessi delle altre, senza prevaricarsi). Anzi, uno dei temi principali affrontati è il modo di intendere e superare il lutto, la capacità di elaborazione del dolore e il tentativo di scacciarlo portato alle estreme conseguenze. Il vero nemico non è tanto l’antagonista che viene presentato, quanto l’incapacità di scrollarsi di dosso lo spettro di una depressione post-mortem che attanaglia quanti rimangono.

Affascinante è, quindi, il rapporto a doppio filo che lega immaginazione-realtà-sogno-morte-follia. Cinque elementi che si intrecciano con le diverse personalità delle sorelle e con il dipanarsi di una trama che, per quanto classica, è impreziosita da un’ambientazione isolana molto vivida e coinvolgente.

Erin Craig, in La casa di sale e lacrime, riesce a coinvolgere il lettore con una scrittura snella e molto fluida, non priva di malizia ma comunque ben inquadrata per la fascia Young Adult a cui fa riferimento. L’unica pecca è lo sviluppo del protagonista maschile: nonostante il retelling di Craig sia incentrato sul punto di vista delle sorelle – nello specifico di Annaleigh che è l’eroina della storia -, sovvertendo l’archetipo narrativo della donna-premio e dell’uomo scaltro che ottiene un titolo nobiliare attraverso il matrimonio, il trasformare quello che era un semplice soldato o comunque un uomo di ceto sociale basso in una specie di aristocratico fa perdere uno snodo importante della storia, quello dell’elevazione sociale.

All’interno de La casa di sale e lacrime, infatti, la questione di classe viene messa in evidenza più volte. Una sorella decide di scappare per amore di un uomo non appartenente alla nobiltà, un’altra disprezza chiunque non ne faccia parte… il fatto che Annaleigh sia legittimata nel suo love interest dall’appartenenza di lui alla nobiltà toglie al testo un elemento che, per quanto non considerabile originale o innovativo, è comunque da non sottovalutare.

Altresì, bisogna dire che sembra una scelta consapevole: Cassius all’inizio non sembra nobile, ma Annaleigh è attratta comunque da lui. Questo provoca il fenomeno del “riconoscimento” al contrario. Nei testi greci, si intravede già il topos che caratterizzerà favole come Cenerentola: la ragazza di umili origini possiede un oggetto che la identifica come nobile di nascita e, quindi, può coronare il suo sogno d’amore col rampollo della famiglia ricca. In La casa di sale e lacrime questo avviene al contrario: Cassius comincia come semplice marinaio che poi viene “riconosciuto” per qualcos’altro.

In conclusione: La casa di sale e lacrime è un ottimo retelling, piacevole e ben scorrevole, che non sembra lasciare molto al caso ma lascia trasparire una profonda e accurata conoscenza del sistema “favola”, e un’ammirevole fantasia nel saper riproporre gli eventi.

Giulia Manzi