Addio fantasmi e la pienezza della mancanza
L’anno scorso, con la Scuola del libro, abbiamo realizzato a un progetto sul Premio Strega: Effetto Strega. Un lavoro completo di lettura, analisi e presentazione dei libri della dozzina in gara, fino a giungere alla premiazione. Tra i libri letti, e finiti in cinquina, tuttavia, ce ne è uno che mi ha colpito in particolare e che continuo a portarmi dietro. O dentro, perché le parole di Addio fantasmi di Nadia Terranova sono un aratro dell’anima, su cui tracciano profondi solchi prima della semina.
E il raccolto, per il libro edito da Einaudi, è arrivato presto, non tanto sotto forma di premio, quanto di riflessioni che è in grado di suscitare. Perché non si può leggere Addio fantasmi senza passare ore e ore in uno stato d’insolito malessere. Non brutto, ma persistente, più simile a una lunga gestazione che a un male stagionale. Almeno finché il seme che Nadia Terranova ha piantato dentro di te non sboccia e allora, solo allora, capisci.
Un sentimento persistente
Il sentimento persistente nell’opera di Nadia Terranova è la mancanza: del padre, della Sicilia, di un amore solido e di un legame con la madre sfilacciato dal tempo e dalla salsedine.
Il vuoto si fa così spazio all’interno della storia e del lettore. Sgomita, si dilata e annuncia la sua presenza. Quella espressa in Addio fantasmi è una mancanza piena, colma di rimpianti, di nostalgie e di piccoli frammenti di un passato la cui rimozione non è avvenuta come sperata.
Abbiamo, in Addio fantasmi, un ossimoro costante tra il vuoto causato dall’assenza e la presenza stessa della mancanza. Il fatto che essa sussista, in qualche modo, riempie la protagonista, la colma e, al tempo stesso, la svuota. Ida non è senza il suo non-essere. Non agisce, se non tramite l’inazione, non ricorda, se non attraverso la dimenticanza.
Il tempo che la protagonista trascorre a Messina, nella casa della sua infanzia, diviene così un tempo immobile, denso e vischioso. Orologi incastonati della polvere, spazzolini fermi alle dieci e dieci, a simboleggiare un passato rubato, una vita sospesa. Sì, perché la scomparsa fine a se stessa del padre – non una salma da piangere, né una certezza di morte – ha avvolto l’abitazione e le vite delle sue abitanti in una stasi perenne. Ida non cresce, finché non lascia Messina e, quando vi fa ritorno, la sé adulta si ripiega nelle grinze della sé bambina, dove la mancanza è più forte, più spessa.
Addio fantasmi è un romanzo in cui si afferma con tragica certezza che è la morte a dare il senso alla vita. E, quando la morte viene sostituita dalla mancanza, l’esistenza si dissolve in una nebbia appannata che solo la consapevolezza può dissipare.
Giulia Manzi
Il passato che ritorna
Il passato di Ida, la protagonista di questo romanzo, torna a chiamarla. Ida è costretta a tornare nella sua casa d’origine, quella dove è nata, quella da dove è fuggita.
Oggi la madre le chiede di tornare perché la casa ha bisogno di una ristrutturazione a causa di alcune infiltrazioni sul soffitto, e poi la volontà della madre sarebbe quella di venderla, per liberarsi anche lei di un passato troppo pesante.
Il passato che attanaglia madre è figlia è crudele, fatto di silenzi e assenze, di speranze disilluse e attese incolmabili. Ida e sua madre hanno perso rispettivamente il padre e marito, che incapace di razionalizzare la realtà, di distaccarsi dalla depressione che lo condiziona, decide di scappare e abbandonare i propri doveri verso chi lo ama, lasciando così le due al loro presente fatto di quella mancanza per cui non c’è ragione. Un presente vissuto singolarmente, dove il dolore non trova spazio nella condivisione e ognuno sopravvive come può. Un presente che si manifesta nella quotidianità, a tavola, dove posti sono ora solo due ma si sente sempre il vuoto del terzo, dove lo spazzolino è rimasto dove era, e gli orologi segnano sempre la stessa ora.
Ida torna, per premura, o per dovere, esegue le richieste della madre, che le chiede di selezionare ricordi e oggetti dimenticati e abbandonati quelli da tenere, e portare via, per una ragione pratica certo ovvero quella di liberare la casa, ma che nasconde un’esigenza sentimentale, allontanare da sé quelli che ora le fanno riaffiorare ricordi dolorosi.
Tanti gli elementi di corrispondenza
La casa ha bisogno di una ristrutturazione, e allora è immediata la chiamata di due operai, Nikos e suo pare si occuperanno della casa mentre Ida e sua madre si occuperanno degli oggetti.
Come davanti ad uno specchio le due coppie si studiano, si riconoscono, sofferenti allo stesso modo di un lutto che li ha lasciati privi di un legame talmente forte da essere taciuto, nascosto.
È molto forte anche lo stretto legame letterario che intercorre tra l’elemento dell’infiltrazione sul soffitto della casa e l’acqua che circonda l’isola. L’acqua diventa uno degli elementi centrali del romanzo, come a rappresentare la liquidità del dolore e della sofferenza, incontenibile e senza limiti.
Altri elementi portanti sono sicuramente gli oggetti, a cui Ida affida la sua resurrezione, in una ossessione alla ricerca della propria liberazione.
Ossessione che la costringe a ragionare su una scomparsa che è peggio di un lutto, Ida non ha un luogo dove piangere il padre, e non ha un motivo per cui può farlo, una scomparsa contiene in sé il significato della vita e della morte, ma potenzia la sofferenza che i soggetti devono subire.
Una grande opera letteraria
Questo romanzo è molto potente, la storia vi passa attraverso, se vi sentite sicuri, e pronti per affrontare il vostro passato questo romanzo vi farà mettere in discussione la vostra esistenza.
Io l’ho letto dapprima piacevolmente, riconoscendo una scrittura scorrevole e fluida, poi ricostruendo quei collegamenti intelligenti che l’autrice costruisce attorno alla trama, rivalutando lo spessore letterario che quest’opera può vantare.
Chiara Orfini
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