C’è il cielo pumbleo, c’è l’acqua salata, c’è il vento che frusta le onde sulla scogliera. C’è il marrone, un marrone caldo, vivo, che sa di terra e di radici.
E le radici sono importanti, lo sa bene la protagonista di Acqua salata, l’esordio di Jessica Andrews pubblicato da NN Edizioni. Nel loro affondare nel suolo tumido, ancorano con forza alla vita e impediscono al terreno di sdrucciolare e franare. Ma cosa succede quando le radici stesse diventano claustrofobiche, come il cielo infinito dell’Irlanda?
Si tagliano. O, perlomeno, Luce prova con tutte le sue forze a recidere i propri legami con un passato che, da millennial, le risulta scomodo e arcaico. Lei vive il suo tempo, tra MySpace, ciocche colorate e venditori di spazi nel mondo, che continuano a starle stretti e a rosicchiare le molteplici identità che si costringe a indossare per percepirsi.
Perché Luce è persa dentro di sé e dentro a un passato che non riesce a scrollarsi di dosso. I momenti s’intersecano in diramazioni tentacolari di trascorsi dei suoi nonni, dei suoi genitori, dell’infanzia trascorsa con un padre alcolizzato e un fratello sordo, di una madre che l’avvolge nella bambagia e del desiderio di tornare in quel grembo caldo e confortevole che ora percepisce così distante.
In Acqua salata, il sale è il sapore del liquido amniotico
In Acqua salata, il sale è il sapore del liquido amniotico, del desideroso ritorno a una vita intrauterina. Il libro, frammentato e distorto, privo di qualsiasi consequenzialità temporale, dipinge se stesso in un mosaico di riflessioni e fotografie rubate a differenti trascorsi, per delineare la storia di una famiglia complessa, dove l’alcol, l’amore profondo e il desiderio di una vita migliore si mesciano in una narrazione stratificata che sa di terreno muschioso e iodio.
Luce sradica se stessa dalle proprie origini irlandesi, per gettarsi in una Londra cosmopolita e colma dei fermenti di una generazione che è vissuta «a forza di racconti di gioventù altrui» e che muore «dalla voglia di far parte di qualcosa di grande», in un’epoca che considerano «stupida e senza importanza». Alla luce dell’annichilimento della propria persona, della svendita di un’adolescenza e di una generazione disillusa e alla ricerca di un motivo per lottare, la protagonista di Acqua salata mutila il suo essere, la sua personalità, per ritrovarle solo in seguito, quando la morte del nonno la costringe a ritornare in Irlanda e a riallacciarsi alle proprie radici.
Il viaggio di Luce diviene, così, un ritorno all’utero geografico da cui proviene; condizione che sostituisce in toto il rapporto con una madre a volte troppo distante, a volte troppo vicina e incomprensibile. Un genitore che vuole sentire più propria, ma di cui l’individualità pare irraggiungibile, senza confronto.
Acqua salata è la storia di un viaggio verso se stessi
Il tentativo di distruggere la figura materna o di conformarsi a lei, senza riuscire in nessuno dei due obiettivi, porta Luce alla destrutturazione del sé. Una volta per tutte, tra i venti e le pendici di un’Irlanda troppo spaziosa per permetterti di essere chi non sei, si annulla per ritrovare se stessa nella solitudine del casolare del nonno materno.
Acqua salata è un esordio di inaspettata potenza, in cui la frammentazione dell’animo della protagonista trova riscontro nello stile asimmetrico e nelle miriadi di fotografie di attimi e momenti vissuti da tre generazioni. Tradotto con sapienza da Silvia Rota Sperti, è un testo tanto sprezzante della vita, quanto esaltatore di essa nella figura di una natura incontrollabile come l’animo umano, dove è rinunciando al passato e frammentando il presente che si può scrivere il futuro.
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